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AVI, IL BORGO ABBANDONATO

Da Roccaforte ad Avi

PAESE FANTASMA: Avi (610 mt.)

RAGGIUNGIBILE DA: Roccaforte Ligure (780 mt.)

LUNGHEZZA DEL PERCORSO: circa 7 km, tra andata e ritorno

TEMPO DI PERCORRENZA: circa 3 h. tra andata e ritorno

SEGNAVIA: bianco-rosso 260; bianco-rosso 256

 

 

Uno degli obiettivi che mi ero posto dopo aver visitato i "Villaggi di Pietra" della Valle dei Campassi, era quello di visitare tutti i paesi abbandonati della zona. Dopo l'escursione di un mesetto fa a Camere Nuove, con la visita ad Avi, ho aggiunto un altro tassello a questa mia personalissima "collezione". Ora che sono a quota 5 paesi fantasma visitati, ne mancano solo più 2: Chiapparo e Rivarossa (escludendo Connio Vecchio, che null'altro poi sarebbe se non la parte "vecchia" di un paese tuttora abitato).

Ma parliamo un po' di Avi: Avi è un piccolo borgo abbandonato definitivamente intorno al 1953 e pare che nella prima metà del Novecento fosse abitato da circa una ventina di persone, agricoltori, che vivevano coltivando grano in appositi terrazzamenti che avevano creato sopra al paese e raccogliendo castagne nei numerosi boschi che circondano il paese. Gli abitanti avevano studiato appositi sistemi di raccolta e conservazione delle acque piovane, in modo da evitare continue e faticose discese a fondovalle, dove scorre il Rio Avi. Dal sito dell'Istituto di Storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria (www.isral.it), si legge:

Qui si collocò dal febbraio al luglio del 1944, proveniente da Montebore di Dernice, il primo gruppo partigiano insediato in valle, al comando di Franco Anselmi “Marco”, medaglia d’argento al valor militare, caduto a Casteggio il 26 aprile 1945. Con Marco era presente Virginio Arzani “Kikiriki”, combattente ed in seguito comandante coraggiosissimo: ferito nella battaglia delle “strette” di Pertuso (24-26 agosto 1944), ricoverato nell’ospedaletto di Rocchetta insieme ad altri partigiani e tedeschi feriti, risparmiato dai tedeschi, venne fucilato dalla Brigata nera il 29 agosto 1944. Avventurosa anche la vicenda di Camillo Rebuffo: catturato con altri due ad Avi il 22 luglio 1944, trasportato prima a Rocchetta e poi da lì alla caserma di Borghetto, durante il tragitto lungo il Borbera, nei pressi della confluenza del Rio d’Avi, si gettò dalla carrozza giù da un dirupo, guadagnò il greto del Borbera e si dileguò. I tedeschi ritrovarono solo il suo occhio di cristallo (era un invalido della prima guerra mondiale) perso nella concitazione della fuga. L’occhio era esibito dai tedeschi sulla piazza di Rocchetta come “trofeo di guerra”!

Leggende di guerra a parte, quel che è certo è che ad Avi i partigiani, nascondendosi in buche, sfuggirono al rastrellamento dei tedeschi nell'aprile del 1944 e, nel luglio dello stesso anno, resistettero ad un assedio durato ben tre settimane.

Ma più precisamente, dove si trova Avi? 

Effettivamente, se non sei del posto, ne hai sentito parlare solo se sei un appassionato di trekking. Anzi, vi dirò che Avi si trova in un posto dimenticato anche dai GPS, visto che persino il mio proverbiale compagno di escursioni, addetto alla "segnalazione" del sentiero percorso, mi ha abbandonato dopo poche centinaia di metri non riconoscendo più la sua postazione. Così ho ricostruito il percorso a mano, sulla mappa che vedete sopra.

Il borgo si trova non distante dall'altro villaggio abbandonato di Camere Nuove ed è raggiungibile - anziché da Costa Salata-Mongiardino - da Roccaforte Ligure. Per arrivare a Roccaforte, quindi, occorre percorrere la SP140 della Val Borbera e, poco dopo l'abitato di Cantalupo Ligure, deviare a destra sulla SP145 della Val Sisola. Superati i paesi di Rocchetta Ligure, Pagliaro Inferiore e Superiore, si giunge a Sisola dove occorre abbandonare la SP145 e salire a destra sulla SP144, in direzione di Roccaforte Ligure. Non ero mai stato a Roccaforte, e vi dirò che sembra proprio un bel paesino.

Per arrivare alla partenza dell'itinerario, occorre raggiungere la chiesa di Roccaforte, piuttosto nascosta. Per evitarvi le continue inversioni di marcia e il tempo impiegato a trovarla, vi anticipo che una volta superate le ultime abitazioni di Roccaforte, poco prima della biforcazione della strada (Isola del Cantone a sinistra, Grondona a destra) si deve prendere la stretta stradina che, sulla destra, conduce ai resti del Castello degli Spinola. Dopo pochi metri su questa stretta stradina, si raggiunge un punto, in prossimità della chiesa, dove è possibile parcheggiare l'auto: qui, a 780 metri di altitudine, si trova la partenza del sentiero, che sale sulla destra della chiesa e che, inizialmente, è marcato con il segnavia bianco-rosso numero 274.

Dopo una leggera salita con un bello scorcio sul Monviso, a pochi minuti dalla partenza, a 897 mt., si trova una prima importante biforcazione del sentiero: a sinistra il sentiero numero 275, in direzione di Lemmi e Vignole Borbera, sulla destra il sentiero numero 260 - che seguirò - con direzione Il Poggio, Croce degli Alpini e Pertuso.

Mi fermo per un istante a scattare qualche foto da questa selletta panoramica: alle mie spalle, posso ammirare, su di un'altura, i ruderi del Castello degli Spinola del secolo X, sul quale si scorgono dei ponteggi, mentre alle spalle del castello, vedo la cima imbiancata dell'Antola. Sì, imbiancata, avete capito bene: siamo a fine maggio, ma la neve caduta nella giornata di sabato non accenna ad andarsene, neanche con lo splendido sole di questa giornata quasi (il quasi è d'obbligo, fa frescolino) primaverile. Se con lo sguardo mi sposto a sinistra, da qui vedo tutta la catena appenninica, imbiancata come se fosse gennaio: Carmo, Poggio Rondino, Legnà, Cavalmurone, Chiappo, Ebro, Cosfrone, Panà, Gropà e Giarolo. Da qui non si perde nemmeno una cima. Che meraviglia.

Mi lascio definitivamente alle spalle i tetti delle case di Roccaforte con il campanile e proseguo sul sentiero 260 che procede in piano e, in alcuni tratti, anche in leggera discesa. E' una sterrata piacevolissima, panoramica e tutta sotto al sole, tanto che di pozzanghere, nonostante l'acqua caduta negli scorsi giorni (a queste altitudini la neve non è arrivata..) se ne vedono pochissime. In alcuni punti aumenta la vegetazione, ma la strada rimane al sole e offre dei piacevoli scorci, tra i rami degli alberi, sulle montagne innevate.

Procedendo sul sentiero, che lascia sulla sinistra il Monte Osesa e sulla destra il Monte La Croce, si incontrano finalmente anche le prime salitelle, tutt'altro che proibitive e in determinati punti del sentiero la vegetazione scompare del tutto per lasciare spazio alla roccia delle montagne tipiche di questo territorio: ci sono anche punti in cui guardare in basso, per chi soffre di vertigini come il sottoscritto, è vivamente sconsigliato.

La vista è principalmente sulla Val Sisola (si intravedono le frazioni di Pagliaro Inferiore e Superiore) e sulla Val Borbera (Volpara, Figino, Vigo e Piuzzo), ma in alcuni tratti della sterrata, la vegetazione lascia spazio anche sul lato opposto e permette di vedere - in questa giornata così tersa - la catena delle alpi.

A questo punto, il sentiero inizia a scendere in modo più deciso, attraversando prima un piccolo boschetto che conduce a una selletta panoramica (con meravigliosa vista a 360 gradi...vedi foto panoramica sotto) e poi una zona rocciosa, dove il sentiero sembra quasi franare (ma non è così) e conduce, in un bosco di castagni, alla Sella di Avi (mt. 732), dove si incontra il bivio per il sentiero 256, che scende a sinistra all'interno del bosco di castagni e conduce, in circa mezz'ora ad Avi e, proseguendo, alla Sella del Monte Cravasana. In corrispondenza della segnaletica (è presente un bel pannello dedicato ai "sentieri della memoria delle alpi", con una breve storia di Avi) lascio quindi il sentiero 260, che prosegue verso Il Poggio, la Croce degli Alpini e Pertuso e mi immetto sul numero 256, dove l'erba è alta e qui sì che la pioggia caduta nei giorni precedenti si fa sentire, bagnandomi le scarpe e le gambe.

Il sentiero non è bellissimo, da qui in poi, ma comunque percorribile. La discesa nel bosco è faticosa per via del terreno bagnato, ma piuttosto veloce e conduce in breve nei pressi del Rio Avi, del quale sento lo scroscio dell'acqua sempre più forte mano a mano che mi avvicino. Poco prima di attraversare il torrente, mentre un aereo che trascina un aliante continua a girarmi sopra alla testa, alzo gli occhi e vedo dritta di fronte a me, verso il fondo della valle, la sagoma di una casa: ecco Avi.

Passo il Rio e da qui in poi il sentiero è un po' più complicato. Innanzi tutto per la presenza di innumerevoli pietre molto particolari, grandi, nere e arrotondate, sulle quali restare in equilibrio è tutt'altro che semplice, ma soprattutto perché in questo tratto, il sentiero - piuttosto ripido - tende a franare verso il Rio.

Con un po' di fatica e grazie al provvidenziale aiuto dei bastoncini (portateli assolutamente in questa escursione) riesco a mantenere l'equilibrio e a superare il tratto più insidioso del sentiero e procedo a mezza costa mentre, di fronte a me, la sagoma della casa di Avi rimane ancora piuttosto distante.

A un certo punto, dove la vegetazione si fa più fitta, il sentiero scende improvvisamente verso un piccolo laghetto, infestato da zanzare di ogni tipo, e mentre cerco di farmi spazio tra i rami delle piante senza cadere, mi rendo conto di essere in mezzo a dei ruderi di case: sono arrivato ad Avi (610 mt.), e quasi non me ne ero accorto!

Come recitava il pannello all'imbocco del sentiero, Avi si divideva originariamente in due piccole frazioni: Ovi de chei e Ovi de là (Avi di qua e Avi di là...rispetto probabilmente al corso di qualche rio) e io sono appena arrivato a Avi di qua, che non vedevo - e che non potevo vedere - perché totalmente sommerso dalla vegetazione.

Il rudere di una prima casa, ormai crollata per metà, si trova sul lato del laghetto, mentre poco più avanti se ne trova un'altra, particolarmente alta e ancora in piedi anche se del tutto avvolta dalle piante che la rendono, di fatto, irriconoscibile. Un'altra casa, del tutto crollata e sommersa dalle piante si trova poco oltre e un'altra ancora leggermente più in basso (la visiterò al ritorno). Proseguendo sul sentiero, si passa proprio sotto ai ruderi di una casa parzialmente crollata, sventrata su un lato e avvolta dall'edera che, a dirla tutta, non dà questo grande senso di stabilità. Per non saper nè leggere nè scrivere, il tratto di sentiero che passa ai piedi di questo rudere, lo percorro alla velocità di un centometrista: credo che basti un colpo di vento per far crollare tutto sulla mia testa (vedo solo, passando velocemente, che da una porta aperta si intravede una specie di pozzo, che fotografo alla velocità della luce). Sul lato opposto, un portoncino aperto lascia intravedere al suo interno alcune botti per il vino, sulle quali è crollato un po' di tutto, a partire dalle travi che sorreggevano il tetto.

Ovi de chei è finito: mi ci sono imbattuto quasi senza accorgermene e vi dirò che, così buio e conquistato dalle piante, è abbastanza inquietante.

La sagoma della casa che vedevo fin dall'imbocco della valle è ora di fronte a me e non dista molto, così dopo poche centinaia di metri su di un sentiero che ora è nettamente migliorato, arrivo finalmente ad Ovi de là. Avi di là è composto da un gruppetto di case in corrispondenza delle quali il sentiero sembra finire. Occorre invece salire sul fianco della grande casa e, come si potrà notare, il sentiero da qui prosegue in salita fino oltre gli ultimi ruderi e conduce alla Sella del Monte Cravasana. Io per oggi non vado oltre, però.

Sul fianco della grande casa di Avi di là, due tronchi a fare da panchine e il segno della brace mi lasciano intuire che qualcun altro è passato di qui non troppo tempo fa. La casa, integra nella facciata (che potevamo ammirare da lontano) è in realtà sventrata sul lato: mi avvicino a scattare delle foto ed è così strano fotografare il panorama della valle attraverso le finestre di una casa crollata. Fotografo i particolari, qui ben visibili. Le pareti interne erano intonacate, mentre assi di legno contornano le porte e le finestre. I muri sono costruiti da grandi pietre e i tetti sono fatti in assi di legno su cui sono state poggiate delle tegole, mentre le porte e le finestre sono molto piccole. Mi avvicino e metto il naso (e la macchina fotografica) dentro a una finestra, per scattare qualche immagine dell'interno, dove a cumuli di macerie si alternano, sorprendentemente, alcune stanze ancora perfettamente integre. Oltre questa grande casa, ancora i resti di una costruzione: è la chiesa di San Vito, della quale rimane ben poco in piedi. Mi sposto su di una collinetta sopra alle case, da cui godo di una bella vista su tutta la valle. Scatto qualche immagine dei tetti di Avi di là e della Chiesa di San Vito dall'alto, poi mi volto in direzione di Avi di qua e cerco con lo zoom di fotografare le case che si intravedono davvero a malapena tra la fitta vegetazione.

Mi infilo tra i muri della Chiesa e la grande casa, che aggiro portandomi sul retro. Su questo lato, le finestre hanno delle rudimentali grate e all'interno è ancora ben visibile e perfettamente integra una stanza con un mobile e una scala che porta, attraverso un passaggio, al piano superiore. Accanto, da una piccola porta, si scorge una stanza piena d'acqua, una specie di pozzo. Sopra la mia testa, i coppi sono pericolanti e mi sposto velocemente per ammirare la grande casa dal lato frontale: entro dalla porta aperta e mi ritrovo in una stanza che fungeva ai tempi da stalla, come posso vedere dalla mangiatoia presente sul lato e dai resti di qualche attrezzo contadino. Dentro sono già entrati i cinghiali, che hanno messo tutto sottosopra. La vegetazione mi impedisce di mettere il naso nell'altra porta, così rimarrò con il dubbio di cosa avrà ospitato quella stanza.

Poco sotto, una casa ormai del tutto crollata e poco più in là un'altra, della quale vedo spuntare dalle piante soltanto il camino: non so come avvicinarmi, e comunque mi sembra che ci sia ben poco da vedere, così decido di rimettermi in cammino sulla strada del ritorno. Ritorno sul lato sventrato della grande casa, dove trovo un pozzo, del quale scatto qualche foto infilando dentro la macchina fotografica, poi riprendo il sentiero in direzione opposta, lasciandomi alle spalle Ovi de là. Quando ripasso a Ovi de chi, oltre a ripetere la corsetta sotto alla casa più pericolante di tutte (niente da fare, non mi lascia tranquillo e basta), noto che ci si può avvicinare ad un rudere di casa del quale vedo una specie di portone e così decido di lasciare per un attimo il sentiero per dare un'occhiata. La casa, per larga parte ancora in piedi, è totalmente avvolta dalle radici delle piante, che si sono insinuate addirittura tra un sasso e l'altro di quelli che ne compongono i muri. Nella parte superiore, le foglie coprono gran parte della facciata: niente da fare, a poco a poco queste radici faranno crollare la casa e non so - se mai tornerò ad Avi - se la rivedrò ancora in piedi. Dal portone aperto, si intravedono all'interno solo macerie. Riprendo il sentiero e, una volta superato il piccolo laghetto in corrispondenza della prima (ora ultima) casa del paese, ripercorro in senso inverso il piccolo sentierino a mezza costa sulla montagna, parzialmente franato.

Con un po' di attenzione e con l'aiuto dei bastoni, ritono al Rio Avi, che supero e mi volto per un'ultima volta alle mie spalle a guardare la grande casa di Avi di là sullo sfondo della valle. Anche questa è fatta.

Rientro nel bosco e ora mi aspetta una dura salita, che però percorro senza particolari problemi, tra alberi di castagno, carpini e maggiociondoli in fiore. Giunto alla Sella di Avi, posso dire che la parte difficile dell'escursione sia terminata: ora mi attende solo un tranquillo ritorno che percorro sulla sterrata sotto al sole. In poco più di mezz'ora, arrivo in vista del campanile della chiesa di Roccaforte, dove avevo parcheggiato la macchina. Mi piacerebbe deviare dal sentiero e fare un salto a vedere il Castello degli Spinola, ma non sembra molto vicino e così, vista l'ora tarda (e che non ho ancora pranzato, soprattutto) decido che sarà per un'altra volta.

Anche Avi è stato visitato. Che dire, rispetto a Camere Nuove molto meglio. Ma niente a che vedere con Reneuzzi. Diciamo che si colloca idealmente a metà tra il fascino di luoghi fantasma come i Villaggi di pietra della Valle dei Campassi e la desolazione di pochi ruderi come quelli di Camere Nuove. Sicuramente inquietante Ovi de chi, con questi muri che emergono all'improvviso in mezzo alla vegetazione, in maniera quasi inaspettata. Molto cupo. Ovi de là si lascia studiare, guardare, fotografare. Qui è bello andare alla ricerca di qualche angolo nascosto da catturare con la macchina fotografica. Qui la vegetazione concede un po' di respiro. In generale, a parte l'ultima parte di sentiero, leggermente difficoltosa per la presenza di frane, il resto del percorso, soprattutto tutta la parte di sentiero numero 260, è piacevolissima e consigliata per fare una bella escursione panoramica.

A un passo dalla vetta
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