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ALLA SCOPERTA DEL MULINO DI SERVENTINO

Sul fondovalle, dove scorre il torrente Bovegna e dove un antico mulino è stato ristrutturato e ora ospita una famiglia

PARTENZA E ARRIVO: Roccaforte Ligure (mt. 782)

TAPPE INTERMEDIE: Mulino di Serventino (mt. 466), Quadrivio di Borassi (mt. 700)

LUNGHEZZA DEL PERCORSO: poco meno di 7 km

TEMPO DI PERCORRENZA: circa 2 h. 30 min.

SEGNAVIA: bianco-rosso num. 274

 

 

Roccaforte Ligure è un vero e proprio crocevia di sentieri: è da qui che si possono raggiungere Lemmi, Monteggio e Grondona, ma anche Pertuso e la Croce degli Alpini e il borgo abbandonato di Avi. Ed è da qui che si può andare alla scoperta del Mulino di Serventino, uno degli ultimi mulini in terra piemontese poche decine di metri prima del confine con la Liguria, in un fazzoletto di terra, per me, totalmente sconosciuto. Se già Roccaforte era parecchio fuori dal perimetro delle mie escursioni tradizionali, devo ammettere che lungo questo itinerario ho faticato seriamente a capire dove mi trovavo, tanto che ho dovuto mettermi a studiare bene la cartina per rendermi conto di essere davvero - e non per modo di dire - "alla fine" del Piemonte, non distante dalla sorgente del torrente Spinti, che dà il nome alla omonima valle (e che nasce dal torrente Bovegna).

A Roccaforte il cielo è difficile da decifrare. Nuvole grigie si alternano a tratti di cielo azzurro, ma almeno non c'è nebbia, è già qualcosa. Come per la gran parte delle escursioni con partenza da Roccaforte, raggiungo la chiesa parrocchiale di San Giorgio, nei pressi della quale, di fronte al cimitero, è possibile parcheggiare l’auto. Dopo aver preparato zaino, bastoni, macchina fotografica e scarpe sono pronto a partire, questa volta in discesa, ripercorrendo in direzione contraria gli ultimi metri della minuscola stradina che un attimo prima ho percorso in auto.

L'asfalto dura poco, perché alla prima occasione svolto subito a destra e prendo il sentiero marchiato con il numero 274 che costeggia una casa ed un recinto a delimitarne l'orto e che, dopo aver nuovamente attraversato l'asfalto, nei pressi di una quercia sempreverde, prosegue su un tappeto di foglie superando una vecchia casa in pietra e passando all'interno della frazione di Corti. Superato nuovamente l'asfalto, tengo ancora la destra immettendomi in un sentiero che scende in maniera più decisa, regalando un bel panorama sul Bric delle Camere e sul paese di Piazzo, arroccato sul crinale al di là del fiume, già in Liguria. Più si cammina, più il sentiero si fa ben definito ed è davvero piacevole camminare su questa bella stradina che scende in mezzo ad ampi prati, permettendo di vedere, sotto alle case di Roccaforte una grande roccia su cui svetta una croce, probabile luogo di ricordi partigiani. A tratti spuntano anche la cima del Giarolo e del Gropà mentre, dalla parte opposta si possono ammirare le piccole frazioni che si trovano sulla strada che da Roccaforte scende verso Grondona.

Dopo aver superato un bivio non segnalato, dove occorre tenere la sinistra, il sentiero spiana leggermente e svolta verso destra, attraversando un grande prato che permette di vedere la catena di montagne che sembra fare da contorno a questo luogo così caratteristico. Il sentiero, nel prato finisce ma seguo la traccia lasciata dalle ruote di qualche jeep passata da queste parti, fino ad attraversarlo per intero, poi mi fermo per sostituire l’obiettivo della mia macchina fotografica e scattare qualche primo piano delle case che vedo in lontananza. Da qui si ha una bella vista sul paese di Camere Vecchie, ai piedi del Bric delle Camere e su Piazzo, ma si intravedono anche le case di Borassi. Guardando verso il fondo della valle, è possibile vedere il corso del torrente Bovegna, su cui si trova il Mulino di Serventino, meta della mia escursione odierna: anzi, ad uno sguardo più attento posso vedere una costruzione che potrebbe essere il mulino (o forse no: mi pare di aver letto che oltre il Mulino di Serventino, proseguendo lungo il corso del torrente, si incontra un’altra costruzione che parrebbe essere quella che vedevo dal grande prato). E’ il momento di abbandonare il grande prato e riprendere il cammino. Un po’ a sorpresa, ora il sentiero cambia improvvisamente conformazione: inizia a scendere in maniera più decisa ma il percorso è irregolare, spesso di non facile comprensione. Si cammina all’interno di un bosco, su su di un sentiero colmo di fango e pietre, portati qui dalle numerose piogge dei giorni precedenti che di fatto rendono il sentiero, in alcuni punti, una esile traccia che seguire non è semplice. In alcuni punti si cammina praticamente all’interno di un vecchio rio asciutto, su di un fondo così sconnesso che occorre fare molta attenzione perché la vera difficoltà è restare in piedi. Come passare da un sentiero fantastico a un sentiero osceno nel giro di poche decine di metri.

Scendendo attraverso stretti tornanti, è possibile vedere più da vicino quella costruzione che riuscivo appena a scorgere dal grande prato: non ha effettivamente l’aria di essere il mulino, tuttalpiù una baracca. Si sentono gli spari dei cacciatori riecheggiare nel bosco e non sono del tutto tranquillo perché li sento particolarmente vicini: camminare in questa stagione è sempre piuttosto pericoloso quindi accertatevi di fare sentire adeguatamente la vostra presenza. Non sono l’unico a non essere tranquillo, perché improvvisamente un capriolo mi sbuca davanti in mezzo agli alberi nel bel mezzo della sua fuga e, impegnato com’è a sfuggire ai cacciatori, neanche si accorge della mia presenza. Scendo ancora per poco superando i resti di alcuni muretti a secco, ora ricoperti di muschio, fino ad uscire finalmente dal bosco in cui mi ero infilato e un grande recinto in un ancora più grande terreno infangato attira la mia attenzione: mi avvicino appoggiandomi alla staccionata e subito un enorme maiale mi viene incontro, fermandosi a pochi metri da me a fissarmi con espressione non molto sveglia. Nel recinto ce ne saranno quattro o cinque in tutto, immersi nel fango fino alle orecchie, ma in lontananza, nel recinto successivo, già se ne vedono degli altri. Poco più in basso è facile intuire la linea di passaggio del torrente mentre di fronte a me ecco l’arcigna vetta del Bric delle Camere.

Ancora pochi passi in discesa ed eccomi giungere in vista, un po’ improvvisamente, delle tegole di un tetto. Il sentiero scende proprio accanto a questa costruzione, che aggiro passando su di un minuscolo ponticello: si trova proprio accanto al torrente e ha tutta l’aria di essere il Mulino del Serventino (mt. 466), meta della mia escursione odierna. Quando vedo spuntare, sul lato opposto, parte della grande ruota, non ho più dubbi. Il mulino è visibilmente ristrutturato tanto che ora è diventato una bella casetta, con muri grigi, finestre e persiane in legno e un marciapiede in sasso davanti. L’unico collegamento con il suo passato di mulino è rimasta appunto la grande ruota, ancora visibile sul fianco più nascosto. Mi avvicino per fotografarla, camminando davanti ad altre due case che sorgono proprio di fronte al mulino e, mentre sono intento a scattare una bella foto panoramica del mulino, vengo distratto dal rumore di una macchina: è una jeep che sta arrivando da un’ampia strada forestale e che parcheggia davanti al mulino. Scendono un signore con la barba e un bambino.

“Buongiorno!”

“Buongiorno”

“Siete voi che abitate qui?”

“Si”

Già io sono uno che parla poco, ma con il signore proprio non c’è partita: non ha molta voglia di parlare. Così gli chiedo solo un’informazione sulla strada del ritorno e lo lascio scaricare la macchina. Poco distante dal mulino, alcune indicazioni sentieristiche: qui convergono i sentieri numero 274 (quello che ho percorso io in discesa) e 200 (il grande anello Borbera-Spinti) e quest’ultimo, in particolare, prosegue oltre il torrente Bovegna in direzione del bivio per Costa Marghezzi, Pian dei Poggi e per il Monte Crovo.

Il sentiero 200 scende dall’ampia forestale da cui è sopraggiunta la jeep e, come mi ha confermato il signore (e come mi conferma ora la segnalazione) conduce a Borassi: sarà la mia strada del ritorno. Anziché proseguire poi per il Bric delle Camere, una volta giunto al quadrivio di Borassi, segnalato a un’ora di cammino, tornerò sull’asfalto a Roccaforte, concludendo così un percorso ad anello che ho scelto soprattutto per evitare il tratto di sentiero 274 invaso di fango.

La strada forestale, ampia, è anch’essa discretamente infangata e costellata di cacciatori. Dopo poco dalla mia partenza, incrocio un’altra macchina che scende, guidata da una signora che ha tutta l’aria di essere la moglie del signore del Mulino del Serventino. Mentre cammino, penso tra me e me alla vita che si è scelta questa famiglia: soli in mezzo al nulla, sul fondo di una valle dove si faticano a intravedere altre forme di vita, in un mulino ristrutturato con un allevamento di maiali alle spalle. E’ una scelta coraggiosa e che rispetto profondamente: è importantissimo per la nostra montagna il fatto che ci siano ancora persone capaci di fare queste scelte. Dopo una lunga salita fatta di tornanti, mi porto decisamente più in alto di quota e ora vedo il Mulino del Serventino spuntare sul fondo della valle poco prima delle ampie gole formate dal torrente Bovegna.

Le case di Borassi si fanno sempre più vicine e in breve le raggiungo, sicuramente impiegando meno dell’ora indicata nel cartello sul fondovalle. La strada forestale arriva a Borassi sulla strada per Camere Vecchie, nei pressi della breve salitella che conduce alla chiesetta della Madonna della Pace, dove si trova un quadrivio (700 mt.).

Da qui, ritorna a farsi ammirare una bella vista sulla Val Sisola e sulla Val Borbera, tanto che lungo la strada del ritorno, ne approfitto spesso per fermarmi a scattare foto panoramiche. Roccaforte è davanti a me, coricato ai piedi del Castello degli Spinola i cui ruderi sono posti proprio sul cocuzzolo della montagna. Tralascio il bivio che scende alle frazioni di Campo del Re e Montemanno e, giunto nei pressi di una croce in legno posta sul lato della strada asfaltata, mi fermo per cambiare obiettivo alla mia macchina fotografica e scattare alcune foto ravvicinate della Cappelletta di San Fermo, che vedo in lontananza spuntare oltre le montagne di Mongiardino proprio davanti alla cima dell’Antola e del paese di Piuzzo con le poche case del valico di Capanne di Cosola alle spalle. Panorami inediti per me, da queste parti non ero mai stato prima. Roccaforte si avvicina sempre di più, ma prima di giungere nuovamente alla frazione di Corti, da cui ero passato anche all’andata, c’è ancora il tempo per scattare qualche panoramica delle gole del torrente Bovegna e del fondovalle su cui sorge il Mulino del Serventino. Arrivo a Corti e, in pochi minuti, sono alla macchina, nei pressi della chiesa di Roccaforte, proprio mentre uno spicchio di sole esce tra le nubi rompendo un po’ la monotonia di questa giornata grigia. Una camminata salutare, in una valle poco conosciuta, alla scoperta di un luogo ancora più nascosto ma quanto mai caratteristico. Un luogo che non potete non visitare, se volete avere una piena conoscenza dell’appennino delle quattro province e delle sue infinite commistioni.

A un passo dalla vetta
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