L'ANELLO DEL MONTE ALFEO
Escursione ad anello con partenza e arrivo a Belnome e passaggi a Costa Vaccarezza, Cappello Monte Alfeo e Tartago
PARTENZA E ARRIVO: Belnome (mt. 890)
TAPPE INTERMEDIE: Costa Vaccarezza, Cappello Monte Alfeo (mt. 1377), Tartago (mt. 708)
LUNGHEZZA DEL PERCORSO: circa 17,5 km
TEMPO DI PERCORRENZA: circa 5 ore
SEGNAVIA: bianco-rosso 199; bianco-rosso 175, bianco-rosso 119, bianco-rosso 117, bianco-rosso 121
Mentre scendi dalla valle, sulla stradina di asfalto così sottile che sembra dover finire da un momento all’altro, Belnome è disteso sulla sua piana ai piedi dell’Alfeo che ti guarda. Quando lo raggiungi, nel bel mezzo di un agosto anomalo, ci trovi il sole e sempre un po’ di gente ad aspettarti, seduta sulla panchina nella piazzetta accanto alla chiesa.
Poi va a finire che, come sempre, parcheggi la macchina al solito posto lungo la strada, indossi gli scarponi e lo zaino e dedichi la prima foto al campanile, che quasi per ringraziarti suona le ore, facendo quasi tremare le vecchie case in pietra. Poi ti incammini sul sentiero che sale tra le case, passa vicino al “ballo” e a quell’ormai famosissimo segnale stradale dell’attraversamento ubriachi, mentre sul prato di fronte c’è sempre qualche asinello con qualche cavallo a pascolare con il Lesima sullo sfondo.
E’ sempre un piacere tornare a Belnome. Questa volta ci torno per intraprendere un’escursione nuova, che presumo impegnativa, ma che muoio dalla voglia di fare: un lungo anello ai piedi dell’Alfeo, la montagna per eccellenza, che domina la val Boreca dall’alto della sua piramide boscosa, con solo quel triangolino scoperto e occupato da prati che da Belnome, per giunta, neanche si vede. Un anello che tocca due tra i più sperduti centri della valle: Belnome e Tartago.
E così, oltrepassati gli asinelli al pascolo, comincio a salire scoprendo che, nel frattempo, hanno asfaltato la stradina che conduce al cimitero anche se io, come al solito, taglio tra gli alberi alla prima curva per iniziare a recuperare sulla tabella di marcia.
Passo accanto al cimitero e, poco oltre, al primo bivio, abbandono il sentiero che prosegue diritto – il 121, in direzione di Pizzonero – per prendere quello di sinistra, il numero 199, in direzione del Monte Alfeo. E’ un po’ di tempo che non percorro questo sentiero, almeno tre o quattro anni.
Non posso non notare immediatamente che la vegetazione è aumentata a dismisura già nel primo tratto, quello che passa accanto a lunghi muri a secco e costringe in numerosi punti a percorrere il sentiero con la schiena curva. Fa caldo in questo bosco, un caldo bestiale: la giornata non è bellissima, anzi un velo grigio occupa tutto il cielo, ma in quanto a caldo non si scherza.
L’erba è alta, ma la via da seguire è sempre ben visibile e anzi, noto che le segnalazioni bianche e rosse sugli alberi sono notevolmente aumentate: un bene, sicuramente, anche se forse un po’ di manutenzione, qui, servirebbe proprio. Incontro due ragazzi che salgono, sbucati quasi dal nulla nel buio di questo fitto bosco. Li saluto e li sorpasso, perdendoli dopo pochi minuti non perché io vada particolarmente veloce ma perché sono loro che, in realtà, continuano a fermarsi.
Finalmente, un tornante deciso verso destra fa cambiare direzione al sentiero e una ripida salitella è il segnale che sono arrivato su Costa Vaccarezza, dove si trova il (secondo) bivio per Pizzonero (sentiero 175). Anzi, a dirla tutta qui il sentiero che termina è il 199 e quello che continuo a percorrere, se non sbaglio, è proprio il 175 proveniente da Pizzonero, che continua in piano alternato a leggere salitelle, una delle quali più decisa.
Intanto, incontro altri ragazzi che vanno in direzione opposta alla mia e mi viene da pensare che cavolo, questo sentiero sembra così dimenticato e invece, in un giorno qualunque della settimana, anche se è estate, ci incontri così tanta gente!
Pochi minuti e, tra le foglie, ecco spuntare la sagoma minacciosa dell’Alfeo: la vedrò meglio tra poco, quando il bosco sarà terminato. Ed infatti quando giungo finalmente al luogo noto come Cappello del Monte Alfeo, il valico posto ai piedi del Monte Ronconovo dove si incontra il sentiero numero 119 proveniente dal Monte Carmo, la montagna si staglia in tutta la sua imponenza davanti a me anche se, a dirla tutta, un po’ di nebbiolina ne offusca la cima, facendola quasi sembrare una montagna normale.
Abbandono così il 175 per continuare sul sentiero 119, che tra l’altro ho percorso – e raccontato su queste pagine – solo poche settimane fa, seguendo la stretta traccia che si sposta sul lato di valle che ospita il villaggio di Bertone, i cui tetti rossi compaiono in lontananza proprio sul versante dell’Alfeo.
Una leggera discesa, poi il sentiero spiana leggermente fino ad arrivare in prossimità dell’ormai famosa cappella votiva posta in corrispondenza di una curva: un’altra discesa e, dopo pochi minuti, abbandono la mulattiera per Belnome seguendo sempre il sentiero 119 che svolta a sinistra tra gli alberi (deviazione non evidentissima, fate attenzione se lo percorrete perché rischiate di accorgervene troppo tardi. Male che vada, finirete a Bertone…).
Il tratto che inizia ora è uno dei più faticosi dell’intero percorso. Un continuo saliscendi, molto sali e poco scendi, tra rovi e spine su di una traccia di sentiero appena visibile in mezzo all’erba alta. Ma è anche uno dei tratti che regala le viste migliori sull’Alfeo, con la nebbia che va e viene dalla sua cima regalandole, se possibile, una sensazione di imponenza ancora maggiore.
Ma oggi, questi, sono problemi che non mi toccano, perché con l’Alfeo ho già dato, raggiungendone la cima qualche settimana fa: mi limiterò ad aggirarlo, anche se non vi nego che, fatica a parte, mi piacerebbe tanto essere là sopra per vedere il mondo da una prospettiva privilegiata.
Penso che ai piedi dell’Alfeo potrei però fermarmi a mangiare qualcosa, visto che è da poco passata l’ora di pranzo e ho un certo languorino. Però, quando sto per raggiungere l’imbocco della ripida salita finale sento un forte vociare che mi fa presumere che il posto da me scelto sia già occupato: la conferma arriva dopo pochi istanti, quando vedo spuntare delle teste, degli zaini e dei panini. Niente, mi terrò la fame.
Passo così velocemente davanti al bivio posto ai piedi dell’Alfeo, abbandonando il sentiero 119 – che ora inizia la sua ripidissima salita – a favore del più comodo sentiero 117, che taglia il fianco sinistro della montagna e che conduce ai borghi di Tartago e Cerreto. E’ la prima volta che mi infilo in questo sentiero, che si può riassumere così: bosco, bosco e ancora bosco. Una faggeta praticamente senza fine.
Il primo tratto è pianeggiante, ma occorre fare attenzione perché a causa delle recenti precipitazioni (per recenti intendo estive…quindi dopo quelle ancora più recenti traete le vostre conclusioni) alcuni tratti del sentiero sono stati “mangiati via” dall’acqua, assottigliandosi notevolmente. Niente di drammatico, ma bisogna fare attenzione a non scivolare perché il margine di errore è minimo.
Il sentiero taglia il versante boscato del Monte Alfeo dapprima orizzontalmente, poi inizia a scendere in maniera via via sempre più decisa, mantenendosi comunque ben evidente grazie alle segnalazioni sugli alberi. In un punto in cui la discesa si fa più ripida, un pezzo di legno nascosto sotto alle foglie mi fa compiere un volo dove per poco non ci lascio la schiena, così – una volta rialzatomi e raccolte le racchette lanciate non so dove – continuo dolorante la mia discesa alla velocità di un novantenne.
La discesa nel bosco, alternata a pochi tratti in cui si attraversano prati stracolmi di spine, è comunque abbastanza lunga e non permette di vedere alcunché di quello che mi circonda. Qualcosa sembra cambiare quando, finalmente, si raggiungono i ruderi di una vecchia costruzione in pietra e il sentiero improvvisamente devia verso destra, iniziando a scendere su un fondo sassoso attraverso ampi tornanti. La mulattiera qui si fa ben evidente e passa accanto a imponenti grotte, permettendo, finalmente, di scorgere tra le foglie degli alberi qualcosa del panorama che mi circonda.
Quel che è certo è che, non essendo mai stato da queste parti, le poche case che vedo tra gli alberi non mi sono per nulla familiari e posso solo sperare di essere sulla strada giusta. Ma è ancora lunga….infatti i tornanti proseguono senza sosta, facendomi scendere decisamente di quota, fino a permettermi di sentire alcune voci provenire in lontananza. Sarò quasi arrivato??
E’ probabile, perché ora la mulattiera abbandona i tornanti per proseguire decisa in un’unica direzione, quella del paese di cui intravedo in lontananza i tetti delle case e, da un certo punto, imponenti muri a secco accompagnano il sentiero, segnale che forse ci sono davvero: quando vedo spuntare un tozzo campanile che termina in maniera decisamente appuntita, non ho più dubbi: sono arrivato a Tartago!
Scendo di poco ed ecco tutto il paese ai miei piedi, con i tetti delle case che compaiono poco alla volta. Ero già stato qui una sola volta, nel 2012 e il paese mi aveva decisamente colpito: non vi nego che oggi sono felice di tornarci.
Scendo tra le case e noto che molte persone sono raggruppate nella piccola piazzetta del paese, addobbata a festa come se fossero appena finite le celebrazioni del patrono, come anche due anni prima. E proprio come due anni prima, i paesani non sembrano di molte parole: non capisco se sono stanchi di vedere l’ennesimo escursionista arrivare con le ginocchia rotte dall’Alfeo, oppure se non ne hanno mai visto uno e mi guardano come un marziano. Passo accanto alle persone, ma nessuno si volta a considerarmi.
Così mi infilo nella vietta che passa sotto al portico vicino alla piazzetta e vado a farmi un giro per il paese, ammirandone l’architettura in pietra, i numerosi portici, le fontanelle e le vecchie case con le ciappe sui tetti. Sembra di essere tornati indietro nel tempo!
Torno verso la piazzetta e passo di nuovo tra la gente, che ancora non mi considera, scendendo così verso il fondo del paese indisturbato. Scatto qualche foto alla facciata della Chiesa: sembra antichissima. E’ davvero particolare, mi incuriosisce, anche per quell’ombrellone e quella sdraio che si trovano davanti al portone, probabilmente degli abitanti della canonica. Mi appoggio al muretto della Chiesa e bevo un sorso d’acqua, proprio mentre dalla canonica esce una signora di una certa età. La saluto e finalmente mi risponde. Miracolo!
Ci fermiamo un po’ a parlare, le racconto da dove vengo ma non sembra conoscere la zona, o quanto meno non bene. La signora mi spiega che tutti i paesani oggi si sono dati appuntamento per la pulizia della vasca dell'acqua e quindi ecco spiegato quel gran movimento in giro per il paese. Le chiedo se la Chiesa è aperta, mi piacerebbe guardarla dentro, ma mi risponde di no, che è chiusa. Mi scappa un “peccato!”
Però mi racconta che le origini della Chiesa si possono conoscere scrutandone le pietre laterali, sulle quali sono impressi l’anno di costruzione (sembra di scorgere un 1177, ma è decisamente più probabile sia un 1770 e qualcosa..) e di ristrutturazione (1804). Non me ne ero mai accorto!
Saluto la gentile signora e, tra me e me, penso che sono quasi le 16 e che, forse, sarebbe anche il caso di mangiare qualcosa. Così mi metto sulla strada che dovrò seguire per rientrare a Belnome, seguendo una lunga staccionata in legno posta alle spalle del paese e, giunto nel punto con la migliore vista su Tartago, metto lo zaino a terra e mi siedo a mangiare qualcosa, guardando dritto in faccia il campanile. Che pace, Tartago è uno dei luoghi più rilassanti in cui sia mai stato. Quel tozzo campanile in pietra, ai piedi delle montagne, mette serenità solo a guardarlo.
La serenità è interrotta da una nuvola grigia che fa cadere qualche goccia, risvegliandomi dal torpore nel quale ero caduto. Meglio tornare, e veloce, penso.
Il cimitero di Tartago si trova lungo la stradina, poco oltre il paese, in un punto da cui si ha una bella visuale su Zerba. Saluto Tartago che scompare dietro una curva e inizio il mio lungo ritorno verso Belnome, su di un sentiero già battuto nel 2012, che inizialmente passa accanto ad alcune grotte, per poi curvare seguendo le pieghe della montagna e, una volta superato il bivio per Zerba, che scende sul greto del Boreca, prosegue in costante salita.
Avevo un vago ricordo di questo tratto di sentiero, e già lo ricordavo lungo. Ma non così!
La traccia si mantiene evidente e supera una quantità infinita di rii e di detriti che le loro acque hanno portato sul sentiero, attraversando anche alcuni punti leggermente difficoltosi, con il sentiero fattosi sempre più sottile e a filo del dirupo. Non mi faccio però prendere dallo sconforto e proseguo con in testa un unico obiettivo: la fontana che incontrerò prima del ponticello da cui parte la salita per Belnome. E' un ricordo ben impresso nella mia mente fin dal 2012.
Oltre ad ospitare un'acqua tra le più fresche e leggere che abbia mai bevuto, è un luogo particolarmente suggestivo, con una bella fontana in pietra posta accanto ad una parete di roccia da cui colano senza sosta acque magnesifere.
Quando finalmente la raggiungo, riempio le bottiglie che ho con me, ormai vuote, e ne approfitto per immortalare la roccia grondante acqua baciata dal sole, quindi, raggiunto il mio obiettivo, mi incammino oltre il ponticello pericolante iniziando la salita alla volta di Belnome, l'ultima di questa faticosa giornata.
Una volta arrivato al bel lavatoio in pietra, i tetti rossi di Belnome fanno la loro comparsa ai piedi del Lesima, la cui palla radar scompare avvolta da un po' di nebbietta. Mi addentro nel paese, fotografandone le aie e gli angoli più suggestivi, deserti, quindi proseguo passando davanti alla chiesa di San Fermo e giungendo in breve alla piazza del paese, dove incontro alcuni paesani, che mi salutano con un bel sorriso.
Finalmente! Mi volto a guardare il campanile, dietro al quale splende ora un bel sole con tanto di cielo azzurro, quasi fosse una beffa. Dopo avermi fatto scappare via in fretta e furia da Tartago con quelle due gocce...
Salgo in macchina e mi avvio sulla strettissima stradina asfaltata, ma quando arrivo al bivio per Pej non posso non fermarmi a scattare un'ultima foto della val Boreca, con Belnome baciato dal sole e adagiato ai piedi dell'Alfeo.
E' una valle tanto selvaggia quanto meravigliosa, non mi stancherò mai di dirlo.