5 settembre 2017
L'ANELLO DELLA "CUA"
Affascinante trekking su sentieri non segnalati lungo una valletta minore della val Sisola
DATA ESCURSIONE: 27/08/2016
PARTENZA E ARRIVO: Pagliaro Superiore
TAPPE INTERMEDIE: Cà 'd Mestrin; Logu du Paiö; Cua; Monte La Croce; Bivio Castello di Roccaforte; Bivio Chiappella
LUNGHEZZA ITINERARIO: 6,8 km circa
TEMPO DI PERCORRENZA: 2,30 h. circa (anello completo)
DIFFICOLTA': EE per l'assenza di segnalazioni e per alcuni ripidi tratti lungo il costone della Cua
SEGNAVIA: non segnalato
Ho volutamente atteso oltre un anno, prima di pubblicare sul sito questa escursione, perché avevo intenzione di farne il piatto forte della mia nuova guida escursionistica: si tratta, infatti, di un itinerario estremamente affascinante e del quale non avevo mai sentito parlare prima d'ora, in un ambiente davvero suggestivo e incontaminato, tanto che sarebbe stato un peccato non riservargli la dovuta attenzione.
L'idea di questo trekking arriva da Ilaria, che ben conosce queste zone, o meglio ancora da sua madre, che negli anfratti nascosti ai piedi del Poggio, sulle rive del Sisola, andava a giocare negli anni della sua infanzia. Dopo una prima veloce perlustrazione in scarpe da ginnastica, ci siamo così ripromessi di considerare seriamente un giro in questa valletta sconosciuta, cercando di scovarne un itinerario.
Partiamo da Pagliaro Superiore, precisamente al km 3 della SP145 della val Sisola (davanti a casa, praticamente!). Seguiamo lo sterrato che permette l'accesso al letto del fiume, colmo di ghiaia e pressoché privo di acqua, e camminando in direzione del fondovalle, lo attraversiamo in un punto favorevole, dirigendoci verso la caratteristica Cà 'd Mestrin.
La conoscete, perché ne abbiamo già parlato sulle pagine del sito: si tratta di quella costruzione - ora abbandonata - abbarbicata su un grande masso di puddinga, visibile dalla strada (tra le frazioni di Pagliaro Inf. e Pagliaro Sup.) e situata nei pressi della confluenza di un rio minore (il Rio Praino) con il torrente Sisola. Ed è proprio la valle del Rio Praino quella che oggi andremo a scoprire. Cominciando proprio dai piedi della Cà 'd Mestrin perché, prima di partire con la nostra escursione seguiamo il letto del Rio Praino fino ai piedi del roccione sul quale si trova la casa: a un certo punto, il passaggio è ostruito da alcuni grandi massi e decidiamo di proseguire superandoli. Spinti dalla curiosità continuiamo a proseguire infilandoci in tutti i passaggi che troviamo, fino a notare davanti a noi uno stretto passaggio tra le rocce dove sembra passarsi a malapena: un bel respiro, pancia in dentro e ci infiliamo, fino a sbucare in un luogo spettacolare, incastrato tra enormi massi di conglomerato, dove sentirsi piccoli è il minimo. Qui non ci passa nessuno da un po', forse qualche cacciatore, e poco distante si intravede un giaciglio usato come tana da qualche animale. Proseguiremmo oltre, ma le fessure si fanno sempre più strette così desistiamo, tornando sui nostri passi: raggiungeremo il letto del Rio Praino dal sentiero più evidente.
Imbocchiamo così la migliore sterrata che passa sulla sinistra della Cà 'd Mestrin (per la quale non deviamo) e la seguiamo fino a sbucare sul greto del Rio Praino, poco distante da dove saremmo arrivati superando le grotte di Mestrin. E' come essere entrati in un luogo magico e sconosciuto: il greto del rio è asciutto e avanziamo sulla ghiaia con i versanti delle montagne che si avvicinano sempre di più, creando una serie di curve oltre le quali si aprono, di volta in volta, nuove vallette nascoste. Sul conglomerato, scorre appena un rigagnolo che è quello che rimane del Rio Praino.
In pochi minuti, raggiungiamo la suggestiva zona nota come Logu du Paiö, dove pare che un tempo sorgesse un piccolo lago, riconoscibile per la presenza di alcuni gradini scolpiti nella roccia, che si possono risalire con l'aiuto di una corda posizionata sul lato: intanto, sullo sfondo, ecco comparire l'anonima cima del Monte La Croce. Continuiamo ad avanzare nel greto del rio, trovandoci improvvisamente di fronte una imponente briglia: tuttavia, tornando indietro di qualche metro, è possibile notare, sulla sinistra, un minuscolo sentierino che risale un pendio erboso, permettendo di superare la briglia e di continuare a camminare sul letto del rio.
Sembrerebbe quasi un'escursione scontata, se non fosse che ora, improvvisamente, si para di fronte a noi la "cua".
La cua ("coda") è una sottile lingua di conglomerato che scende dal Monte La Croce e che separa la valletta del Rio Praino in due vallette laterali: in quella di sinistra, compresa tra il Monte La Croce e il Castello di Roccaforte, scende il Rio Praino, mentre in quella di destra, compresa tra il Monte La Croce e il Poggio, scende un rio minore del quale non sono riuscito a rinvenire la denominazione.
Sembra di salire sulla coda di un dinosauro: si abbandona il greto del Rio Praino per prendere a risalire questa sottile lingua di conglomerato, inizialmente tra gli alberi quindi, via via, sempre più spoglia. Variano spesso anche le pendenze della cua, che parte in ripida salita, quindi spiana leggermente per un breve tratto, poi riprende a salire costante. Mentre camminiamo, non possiamo fare a meno di notare splendidi panorami aprirsi alla nostra vista: ai lati della cua, suggestive visuali sulle vallette laterali, con la roccia colorata dal passaggio del Rio Praino a sinistra e, a destra, le strapiombanti pareti del Poggio; alle nostre spalle, intanto, si apre una vista sconfinata sulle dorsali che separano le valli Sisola, Borbera e Curone.
Dopo un ulteriore strappetto di salita sullo spoglio crinale, giungiamo nei pressi di una vecchia teleferica, poco distante da un albero di roverella: allora qualcuno, da queste parti, passava un tempo, ci viene da pensare. Ora, però, questi luoghi sono mèta esclusiva di cacciatori. Neanche il tempo di finirlo di dire, che veniamo attirati dal rumore di alcuni sassi che stanno franando, ai piedi del ripido versante del Poggio: una volpe si è accorta della nostra presenza e sta correndo lungo il pendio con non poca fatica, probabilmente sorpresa dalla presenza di due persone da queste parti. La volpe scompare tra gli alberi e noi, salendo con lo sguardo, notiamo anche alcune interessanti formazioni rocciose lungo le pareti del Poggio che lasciano presagire la presenza di alcune profonde grotte.
Oltre la teleferica, la cua si fa decisamente più ripida e spesso siamo costretti a fermarci a tirare il fiato: il sentiero non è di facile individuazione e attraversa diversi boschetti di roverella, dove si procede decisamente a fatica, alternandoli a brevi tratti allo scoperto. E' senza dubbio il tratto più difficoltoso del percorso, quello da affrontare con maggiore attenzione per non rischiare di seguire tracce sbagliate e anche quello che, all'uscita dall'ultimo boschetto, regala le più strapiombanti viste sulla valletta del Rio Praino.
Ci voltiamo alle spalle e il panorama è decisamente ampio: ai nostri piedi, il lungo costone della cua, che abbiamo percorso quasi interamente, sotto a un sole cocente e in lontananza ecco ora comparire le antenne del monte Giarolo alle spalle dello spoglio profilo del Poggio. Guardiamo davanti a noi, cercando di individuare il sentiero, che dopo un breve tratto pianeggiante continua ora a risalire ai margini di un bosco di roverella, su di un fondo di pietre mosse disseminato di cespugli di timo. Dopo un'ultima, impegnativa salita, il percorso si sposta definitivamente sul vallone del Rio Praino, per risalire un costone di conglomerato e raggiungere un pianoro panoramico sui ruderi del Castello Spinola di Roccaforte, che ora vediamo esattamente di fianco a noi.
Pochi passi ancora ed eccoci sulla sconosciuta vetta del Monte La Croce, culmine del lungo crinale della cua: la vista si apre verso la bassa val Borbera, verso Rivarossa e la val Grue, oltre che sulla vicina dorsale del Poggio e del Cravasana.
E' stata dura ma siamo soddisfatti, imboccando un sentiero pressoché irriconoscibile siamo riusciti a raggiungere dal fondovalle la cima della dorsale ed ora non ci resta che ingegnarci per studiare come fare ritorno a Pagliaro Superiore. Così, dopo qualche foto, scendiamo per tracce dalla cima del Monte La Croce raggiungendo la evidente sterrata segnalata con il 260 che unisce Roccaforte Ligure alla Croce degli Alpini, seguendola verso sinistra, in direzione di Roccaforte. Si tratta dell'unico, breve, tratto di sentiero segnalato, che ci conduce dopo poco più di una decina di minuti di saliscendi, in vista del campanile della chiesa di San Giorgio di Roccaforte.
Continuiamo a scendere, ignorando la deviazione del sentiero 275 verso destra, diretto a Vignole, per imboccare poco dopo il sentiero per i ruderi del Castello Spinola, segnalato con un cartello. Ulteriori saliscendi ci portano in pochi minuti ai piedi dello sperone su cui sorge la vecchia fortificazione ma ignoriamo la strada di destra, che permette di raggiungere il castello, mantenendoci invece a sinistra, su una traccia non segnalata che si addentra nel bosco. In costante discesa, con piacevoli scorci sul dirupato versante del Monte Poggio, che si staglia alle spalle della cua appena percorsa, il sentiero perde quota, quindi esce dal bosco e piega verso destra, regalando belle viste sulla dorsale del Giarolo e su quella del Monte Bossola. Incontriamo alcuni bivi ma ci manteniamo sempre sulla strada principale, fino a raggiungere, oltrepassato un grande masso, il bivio per Chiappella, dove la vista si apre in direzione di Montemanno e del valico di Costa Salata. Anziché proseguire diritti, in direzione di Chiappella, svoltiamo bruscamente a sinistra, prendendo a scendere su una evidente strada sterrata, che costeggia ampi terreni coltivati (volendo, è possibile abbandonare la strada per scendere per un tratto sui terreni, decisamente più panoramici sulla val Sisola da Pagliaro a Rocchetta).
La sterrata si incunea in ripida discesa, regalando belle viste sul Poggio e, nella parte finale, sulla Cà 'd Mestrin, che ora vediamo dall'alto. Un deciso tornante ci fa camminare nuovamente in direzione di Pagliaro Superiore, del quale ora vediamo il rosso campanile della chiesa di San Bernardo. L'ultima discesa ci accompagna sul greto pressoché asciutto del Sisola: non ci resta che attraversarlo e raggiungere comodamente la partenza del nostro itinerario.
Siamo entusiasti dell'escursione, prima di tutto perché non era assolutamente pianificata e poi perché ci ha permesso di scoprire una delle zone più selvagge e sconosciute del nostro appennino. Anche sulle pagine del libro, ho voluto catalogare questo tracciato come EE perché nonostante il sentiero non sia particolarmente esposto (se non solo in qualche breve tratto), il percorso è spesso di difficile individuazione, oltre ad essere decisamente ripido. Per questo, non la considero un'escursione adatta a tutti oppure ad escursionisti improvvisati. Prima di perdersi o farsi del male, meglio andarci cauti...