APPENA PRIMA DI PARTIRE
L'ultima ciaspolata della stagione. Ad aprile!
PARTENZA: Caldirola, Colonia provinciale (mt. 1100)
ARRIVO: pendici M.te Ebro
LUNGHEZZA DEL PERCORSO: circa 10 km
TEMPO DI PERCORRENZA: 4 h. 30 min. circa
SEGNAVIA: bianco-rosso 106; bianco-rosso 200
Ci tenevo particolarmente alla ciaspolata di oggi. Sembrerà una stupidaggine ma è così: tra qualche giorno sarò in viaggio con degli amici e non potrò essere sui sentieri a camminare, così ho sperato con tutte le mie forze che il tempo mi lasciasse andare. Potrebbe essere l’ultima: chissà se tra quindici giorni troverò ancora abbastanza neve per ciaspolare, oppure se potrò andare soltanto con gli scarponi? Sarà passata la metà di aprile, allora, e la primavera dovrebbe essere già arrivata, anche in quest’anno così strano. Così cauteliamoci e sentiamo Francesca, vorrei proprio andare con lei, visto che non ci vediamo da qualche settimana, più precisamente dalla devastante ciaspolata al Carmo.
“Che fai il prossimo fine settimana?” le scrivo.
“Prossimo fine settimana ho un impegno, vado a camminare con un asino a Caldirola”. Mi metto a ridere, questa è Francesca, prendere o lasciare, ma è proprio questo che mi piace di lei.
“Allora l'asino guarda che tempo fa”, le dico e intanto mi metto subito a guardare le previsioni, che proprio per il nome che portano, hanno la caratteristica di non azzeccarci quasi mai. Sono cambiate praticamente tutti i giorni, obbligandoci a rimandare la decisione fino all’ultimo istante.
Avremmo voluto provare ad andare sabato mattina, poi dopo una veloce occhiata fuori dalla finestra in direzione dell’appennino le ho scritto di restare a letto: la nebbia stava già scendendo dalle cime più alte e in breve sarebbe arrivata sopra alle ultime case di Caldirola, nascondendole per tutta la giornata. Conosco queste giornate: sono quelle in cui è consigliabile dormire molto, prima a letto e poi, magari, sul divano. Fuori non succede niente di interessante.
Sabato sera ne parlavo ancora con Umberto, un amico con cui spesso faccio lunghe chiacchierate di montagna. Lui pratica lo scialpinismo, io ciaspolo e quando ci vediamo ci raccontiamo i nostri ultimi itinerari. Gli avevo detto che il giorno dopo sarei dovuto andare a ciaspolare ma le previsioni non erano affatto chiare e anche lui mi ha detto che “l’unica è vedere domani mattina quando ti svegli!”. Niente da fare, volevo una conferma, una rassicurazione, ma nessuno può darmela. Però quando rientro a casa alzo gli occhi e vedo le stelle. Buon segno?
Domenica mattina appena apro gli occhi vedo una bella luce entrare dalla finestra: c’è il sole!
Mi preparo e carico tutta l’attrezzatura in macchina: Francesca è già avvisata, non mi resta che andare ad aspettarla. Quando arriva sale sulla mia macchina e vedo subito qualche sacchetto un po' troppo unto che mette il naso fuori dal suo zaino. C'è della focaccia, bene! Andiamo verso la partenza del nostro sentiero, mentre possiamo già constatare, guardando verso i monti, che il cielo si è leggermente velato e in alcuni punti la nebbia minaccia di scendere. Non lasciamoci prendere dallo sconforto, prepariamoci velocemente e mettiamoci in cammino.
Non abbiamo molti dubbi sul giro da fare oggi: lei mi ha chiesto un giro corto e io mi sono subito indirizzato verso una ciaspolata all’Ebro, che non sarà cortissima ma almeno ci permetterà di avere un posto (il nostro solito posto) dove fermarci per un po’ a mangiare e a ridere. O almeno questo era quello che pensavo.
Ci incamminiamo per il sentiero 106, verso il Rifugio Orsi: la neve sul sentiero è ancora tanta, altroché. E’ un po’ bagnata, come previsto, ma all’inizio non si cammina poi così male. Nel primo tratto di sentiero purtroppo non possiamo stare a fianco e dobbiamo accontentarci di camminare in fila indiana, fermandoci ogni tanto per scambiare qualche parola e per tirare il fiato. Il cielo davanti a noi è di uno strano colore, sicuramente più simile al grigio che all’azzurro, però il suo colore cambia in fretta e a volte un po’ di sole fa capolino dietro alle nuvole.
Non scatto molte foto, oggi, il tempo non è dei migliori e poi ho voglia di parlare un po' con lei, visto che non ci si vede da qualche settimana. Dopo una piccola sosta nei pressi del bivio per la Fontana Nascosta, iniziamo a salire più decisamente e arriviamo piuttosto velocemente nei pressi del cancello sul versante del Panà, dove ci viene naturale - appena arrivati - posare gli zaini a terra e cercare un posto dove sederci per fare colazione.
Ci sediamo su di un sasso, guardando in direzione del Monte Chiappo e delle Stalle di Salogni. Beviamo un sorso, poi lei prende il sacchetto unto che avevo visto prima di partire e inizia a tirare fuori strisce di focaccia. Quanto mi sei mancata, Francesca!
Restiamo seduti per dieci minuti, forse anche di più, a mangiar focaccia e a chiacchierare un po', poi ci alziamo, rimettiamo lo zaino e decidiamo di proseguire in piano, sul sentiero 106, in direzione del Rifugio, sotto a un cielo che ora ci regala un bel sole. Fa piuttosto caldo, io sono ancora in maglia: dalla partenza ho la giacca nello zaino e per ora non ho la minima intenzione di metterla. Mentre camminiamo continuiamo a parlare, superando la fontana che si incrocia sul sentiero e arrivando nei pressi del grande prato che precede il Rifugio, colmo come non mai di neve.
Da qui in poi la difficoltà della giornata aumenta improvvisamente: la neve è troppo, troppo molle, a ogni passo si affonda con buona parte della gamba. Arrivati a metà prato, capiamo che forse è il momento per fare un bello stampino, vista la neve soffice. Questa volta mi butto io, dai. Lei riprende tutto, compresa la fatica successiva per alzarmi e la delusione nel constatare che non ho lasciato una grande sagoma sulla neve. Questo però non significa - ahimè - che non sono abbastanza pesante, ma solo che non mi sono buttato con la necessaria violenza.
Ci rimettiamo in cammino e faticosamente raggiungiamo il Rifugio Orsi, dove il camino fuma e la neve è così tanta che ci rendiamo conto di camminare sopra al livello della staccionata. Lei mi scatta una foto davanti a questa montagna di neve, poi proseguiamo verso le fontane del Rifugio, dove ci fermiamo a bere. Io mi volto a guardare il Rifugio sommerso di neve e penso "Ma come può tutta questa neve andarsene in due settimane?". In effetti credo proprio che al mio ritorno ne troverò ancora.
Ora che abbiamo bevuto, possiamo incamminarci in salita nel tratto più ripido della giornata. Ad ogni passo, oltre ad affondare così tanto da faticare il doppio, è anche difficile restare in piedi perchè la neve è molto scivolosa e ogni passo regala sempre qualche sorpresa inaspettata. E poi è tanta, troppa: a un certo punto Francesca affonda il bastoncino nella neve e ci entra tutto, compreso un pezzo del suo braccio. Stiamo camminando su una montagna di neve. Aprire il sentiero è dura e dopo un po' ci diamo il cambio e va avanti a fare strada lei.
Nonostante prima di noi non sia passato nessuno, riusciamo comunque a trovare prima e a mantenere poi il sentiero, che riconosciamo grazie alle targhette e ai segni disegnati sugli alberi, ma comunque, ragazzi, è veramente una gran fatica. Dopo una curva sulla destra del sentiero entriamo in un boschetto all'interno del quale ci fermiamo un attimo a prendere fiato, appoggiati agli alberi. Siamo abbastanza stanchi, diciamo che rivedersi dopo la ciaspolata al Carmo e fare subito questa fatica non mi farà fare una gran figura davanti a Francesca. Però ormai siamo in ballo e allora balliamo, fino in fondo. Proseguiamo in salita affondando nella neve sempre più morbida fino a raggiungere, al di fuori del bosco e in un prato ai piedi del Monte Cosfrone, il laghetto ora ricoperto di neve, poi rientriamo nel bosco per un ultimo breve tratto, dove il sentiero si riconosce a malapena, per poi uscire, finalmente, ai piedi dell'Ebro.
Guardiamo la croce dritta davanti a noi, in lontananza, con il cielo grigio a farle da sfondo e iniziamo la nostra ultima salita della giornata: quella - piuttosto ripida - verso la cresta prima e la cima dell'Ebro poi. Peccato che appena iniziamo a salire, voltandoci alle spalle vediamo il cielo sempre più nero coprirsi velocemente di nebbia. "Porcamiseria, proprio adesso deve arrivare la nebbia??". Proprio ora che mancava poco all'arrivo.... Non facciamo neanche in tempo a lamentarci, dopo pochi passi la nebbia ci ha già avvolto e ci ha nascosto buona parte del panorama circostante. Oltre ad essere stanchi, ci siamo anche un po' rimasti male, sinceramente.
Quando arriviamo in cresta, poco sotto alla salita finale del Monte Ebro, facciamo appena in tempo a vedere uno scorcio dell'Alta Val Borbera davanti a noi, in direzione dell'Antola, prima che tutto scompaia avvolto nella nebbia grigia. Io mi metto la giacca, Francesca, provata, si inginocchia a terra, sembra voglia pregare. Forse prega di non accettare più un altro mio invito per ciaspolare, visto che sembra piuttosto stanca. Ma lo sono anch'io, camminare su questa neve ci ha devastato i muscoli delle gambe.
"Fermiamoci qui", le dico. "Non ha senso andare fino in cima all'Ebro con questa nebbia".
"Ci sarà anche vento!", aggiunge lei. Chi ce lo fa fare?
Mangiamo qui, oggi, seduti in mezzo al sentiero, nell'unico pezzettino di cresta dove la neve se ne è andata ma, in compenso, c'è piuttosto fango. Ma chi se ne frega, in montagna non si sta molto a guardare queste piccolezze. Poco più in basso è il posto dove ci eravamo seduti a parlare la prima volta che siamo andati a camminare insieme. Nonostante la scomodità, il nostro pranzo con pane, fontina e cioccolato non ce lo toglie nessuno. E un po' di vino servirà a scaldarci, visto che fa anche freddo.
Parliamo e mangiamo, seduti a terra con la bottiglia di vino a dividerci, senza vedere praticamente nulla di fronte a noi. La nebbia è impenetrabile e nonostante tutto c'è anche un vento piuttosto freddo, anzi gelido. Metterei quasi i guanti, se non fosse che qualcosa mi si è rotto nello zaino e me li ha bagnati tutti: sono passato dall'aver caldo ad avere le mani viola dal freddo! Vabè, niente guanti, mi aggiusterò. Però fa freddo, cavolo, troppo freddo. Mangiamo in fretta, dobbiamo alzarci, non si può restare qui: sembra quasi un remake del pranzo dell'ultima ciaspolata al Carmo, con l'unica differenza che qui l'aria gelida ci arriva dritta in faccia (il famoso "piacentino", proprio lui...) mentre là ci tagliava la schiena a metà.
Mentre io finisco di mangiare, Francesca fa la stupida nella neve. Io ormai non ho più parole, solo risate. Le faccio qualche foto mentre cerca di ripulirsi dal fango nella neve, con le lacrime che mi scendono dagli occhi, ma non per il vento freddo.
Ci alziamo in piedi e beviamo ancora un po' di vino, ma ne è rimasto ancora un bel po' e non possiamo finirlo, così decidiamo di riportarcelo indietro. Prima però bisogna richiuderlo col tappo, impresa non da poco se si considera che con le mani congelate che mi ritrovo, anche solo assottigliare un tappo di sughero col coltello diventa un'impresa difficilissima. Infatti non ci riesco, ci pensa lei non vi dico come, mentre io la guardo sbigottito.
"Non ci siamo fatti neanche un autoscatto!" mi dice lei. Corro ad appoggiare la macchina fotografica su un pezzo di staccionata e la preparo, mentre lei si mette in posizione con la bottiglia di vino. Schiaccio il pulsante e corro verso di lei, inginocchiandomi al suo fianco mezzo tremante per il freddo. Quando vado a riprendere la macchina fotografica, mi accorgo subito che non è un granché questo autoscatto: la nebbia copre tutto, noi siamo troppo distanti dall'obbiettivo e abbiamo un'espressività pari a zero, ma con queste condizioni climatiche non si poteva fare molto di più.
Ci incamminiamo sulla strada del ritorno, seguendo la linea di crinale. O almeno cercando di seguirla: la visibilità è praticamente nulla. Dove finisce la nebbia, grigia, inizia la neve, bianca. Non si vede più niente.
Come se non bastasse, inizia a nevicare, o a piovere gelato, se preferite. Il vento spinge questa pioggia di ghiaccio sui nostri volti impedendoci quasi di tenere gli occhi aperti e vi dirò che punge anche, è veramente fastidiosa.
Lei cammina con la bottiglia di vino in mano, ma solo per poco perché poi si stanca e dopo un'ultima golata vuota quello che è rimasto sulla neve e mi restituisce la bottiglia vuota. Continuiamo a camminare sul crinale, tra cavalle di neve e punti in cui si vede l'erba perché il vento ha spazzato la costa. Però scendiamo piuttosto velocemente, superato anche il Cosfrone, alla volta del Panà, lasciandoci scivolare nella neve bagnata spinti dal vento gelido.
In fondo alla discesa del Cosfrone incontriamo due persone che stanno salendo, con un cagnolino così piccolo che non so come faccia a non essere trascinato via dal vento. Il povero cane ha già la faccia spaventata di suo, ma non vi dico i suoi occhi quando Francesca scivola e rischia quasi di cadergli sopra. "Ma dove mi avete portato?" avrà pensato il cane, rivolto ai suoi padroni. Li salutiamo e proseguiamo, dicendoci che effettivamente quei due sono pazzi, a salire con questo tempo. Però conosco la montagna e infatti dico a Francesca che secondo me, i due rischiano di arrivare sull'Ebro quando tutta la nebbia se ne sarà andata e potranno godersi un gran bello spettacolo: previsione azzeccata, perché sarà proprio così, alla fine.
Arriviamo al Panà e approfittiamo di un piccolo tratto di sentiero con meno foschia per farci qualche autoscatto davanti al cartello con l'altitudine del monte. Vorrei un ricordo di questa giornata stregata, visto che fino ad ora la nebbia ha avvolto tutto, anche le nostre risate là sopra, che sembravano quasi ovattate.
Dopo l'autoscatto metto la macchina fotografica nello zaino, visto che continua a piovere ed è ormai tutta bagnata e ci rimettiamo in marcia scendendo dal Panà con molta fatica, cercando di non cadere. Ma non ci riusciamo mica. Però quando arriviamo in fondo alla discesa, vediamo il cielo aprirsi e la nebbia che inizia a scomparire, regalandoci una vista sulla val Borbera. Attraversiamo il boschetto che porta a Passo Bruciamonica e poi scendiamo attraverso le piste.
Riprendo la macchina fotografica perché ora con questo sole che sta uscendo scatterò ancora qualche foto, fino ad ora ne ho fatte poche. Scendiamo ridendo sulle piste, con lei che fatica a restare in piedi con la sua cuffia da puffetta e dopo averle fatto un video in cui si sentono solo le mie risate e i suoi insulti verso di me, arriviamo piuttosto in fretta alla macchina.
E' uscito un sole bellissimo, adesso. Sembra quasi l'abbia fatto apposta, ma quel che è certo è che quei due sull'Ebro si godranno un fantastico panorama, mentre noi faticavamo a guardarci in faccia per colpa della nebbia. E vabè, dai. Io sono contento lo stesso, sono riuscito a passare un'altra giornata insieme a Francesca e ho fatto il pieno di buonumore per qualche giorno. Ha il potere di farmi isolare dal mondo che mi circonda: quando siamo insieme il mio telefono rimane nello zaino e non ho bisogno di guardarlo per vedere se qualcuno mi ha scritto, se ci sono delle novità. Non succede spesso. Anzi non succede mai. Fortunatamente abbiamo preso l'ultimo giorno disponibile per riuscire a camminare: appena prima di partire, appena in tempo.
Ora posso prepararmi psicologicamente per il viaggio a Siviglia, che sarà sicuramente divertente e poi, come ogni viaggio, mi lascerà quelle immagini, quei suoni e quei profumi che in futuro assocerò per sempre a quella città. Mi piace viaggiare, quasi quanto camminare. E poi ogni camminata è un po' un viaggio, no?
Certo, là farà caldo e sarà piacevole allontanarsi per qualche giorno dalla vita quotidiana.
E comunque, per chi me l'ha già chiesto: "No, non le porto le ciaspole a Siviglia!!" Contenti??