DA BOCCHE DI CRENNA AL MONTE LESIMA
La lunga traversata fino al Lesima, la cima più alta del nostro appennino
PARTENZA: Bocche di Crenna (mt. 1553)
ARRIVO: Monte Lesima (mt. 1724)
TAPPE INTERMEDIE: Capanne di Cosola, Capannette di Pey, Passo del Giovà, Bivio Sentiero Brallo
LUNGHEZZA DEL PERCORSO: circa 20 km
TEMPO DI PERCORRENZA: intorno alle 6 h. 30 min.
SEGNAVIA: bianco-rosso num. 101
Il Lesima, la cima più alta del nostro appennino. E per nostro intendo i nostri dintorni, perché è chiaro che spostandosi verso la Val d'Aveto le cime aumentino di altitudine: però il Lesima, spesso identificato con quella grande palla radar posta sulla sua sommità, con i suoi 1724 metri raggiunge una notevole quota, superando le già elevate altitudini dei monti Ebro e Chiappo, fermi a 1700.
Sono anni che mi dico che vorrei tornarci, poi per un motivo o per l'altro non riesco mai a mantenere fede alla mia promessa. Ci sono stato altre due volte, nel 2005 e nel 2006, sempre partendo da Bocche di Crenna e conservo il ricordo di una intensa camminata, ampiamente ripagata dalla meraviglia di panorama che si può ammirare dalla sua vetta. Ora ho deciso, ci torno. E ci porto Francesca, che ha voglia di camminare. Non le dirò che è una camminata così faticosa, altrimenti mi manderà subito a quel paese, aspetterò che lo faccia alla sera, quando torneremo: magari sarà così stanca che non ne avrà più la forza!
Per raggiungere Bocche di Crenna, punto di partenza dell'escursione, si risale la Val Curone sulla SP100, per poi imboccare la SP113 dopo l'abitato di Garadassi e la si segue fin oltre il paese di Salogni, poche curve dopo il quale sulla destra sale una stradina asfaltata che conduce alle Stalle di Salogni. Si segue la strada anche oltre le stalle, quando l'asfalto lascia spazio allo sterrato e si parcheggia l'auto a Bocche di Crenna, a 1553 metri di altitudine, valico tra la Val Curone e la Val Borbera, in prossimità del cancello posto ai piedi dei monti Ebro e Chiappo. Zaino, scarponi e macchina fotografica: si va!
Mentre Francesca mi imbocca con un pezzo di focaccia, faccio giusto in tempo a notare che il meteo, previsto bello, è già ampiamente compromesso e nuvoloni neri si affacciano all'orizzonte, specie guardando in direzione della nostra meta. Alle nostre spalle, verso la Val Curone, il cielo è almeno più azzurro, ma è una consolazione da poco. Ci incamminiamo in discesa sulla carrabile che, poco oltre il cancello, prosegue in direzione della Val Borbera, per abbandonarla dopo poche decine di metri deviando sulla sinistra, su di un percorso non segnalato se non con il doppio cerchio pieno giallo, a tratti. Il sentiero è comunque visibile e anzi, paralleli ad esso ne corrono alcuni altri, che conducono tutti nella medesima direzione: superati numerosi versanti immediatamente sotto a Bocche di Crenna, il sentiero permette finalmente di vedere il monte Ebro ormai alle nostre spalle, mentre se guardiamo verso valle, vediamo un mare di nebbia sommergere i paesi dell'alta Val Borbera.
Entriamo in un boschetto dove il sentiero è ricoperto di foglie e svolta bruscamente verso sinistra, portandoci in un punto panoramico dove si può godere un bel panorama sull'alta valle e sul corso del Borbera, che compare e scompare al di là della nebbia. Poco oltre, una cappelletta sulla sinistra del sentiero preannuncia un nuovo cancello per il bestiame, superato il quale incontriamo una fontana e quindi una discesa del sentiero, ormai prossimo all'arrivo a Capanne di Cosola. L'arrivo nei pressi delle prime case del piccolo paesino è preceduto da un tratto del sentiero particolarmente fangoso: fango che si rivelerà una delle più grosse insidie della giornata.
Giunti a Capanne di Cosola dopo circa 40 minuti di cammino, proprio davanti all'omonimo albergo-ristorante, proseguiamo sull'asfalto in direzione di Capannette di Pey, che raggiungiamo dopo una decina di minuti di cammino con la palla radar del Lesima che sembra attenderci, là in alto, proprio davanti a noi. Ancora distantissima. A Capannette di Pey, oltre ad un altro albergo-ristorante, si segnala una bella chiesa, che arrivando dalla strada di Capanne di Cosola si trova proprio davanti al Lesima, in linea d'aria, in uno splendido punto panoramico. Oltre la chiesa, l'asfalto prosegue fino al Passo del Giovà, dove incontriamo un bivio: in basso a destra, la strada prosegue per Pej e Vesimo; a sinistra per Pian del Poggio e dritto per il Passo del Brallo. Noi manterremo la strada per il Brallo, ma prima pensiamo bene di fermarci a fare una merenda di metà mattinata: un po' di cioccolata ci vuole, non sembra, ma tutto questo asfalto è veramente faticoso da affrontare con gli scarponi. Abbiamo bisogno di energia.
Dal Passo del Giovà, il panorama che si può godere sulla Val Boreca è fantastico: i versanti del Cavalmurone e del Lesima sembrano quasi scontrarsi l'uno con l'altro e, poco più in alto, il caratteristico paesino di Belnome, isolato ai piedi dell'Alfeo. Ma una volta terminata la nostra merenda, basta ripartire per pochi metri lungo l'asfalto che conduce al Brallo per vedere, voltandosi questa volta dalla parte opposta, un panorama da lasciare senza fiato sull'alta Valle Staffora: poco distante da noi, Pian del Poggio, mentre più a valle distinguiamo i paesini di Casale Staffora, Cencerate, Barostro e, addirittura, in un punto dove la vista è ancora più ampia, riusciamo a vedere Cegni e il paese fantasma di Ceregate. Che dire, la camminata, a parte un po' troppo asfalto, è comunque piacevole ed estremamente panoramica: e quando saremo là sopra, sulla cima del Lesima, io so già cosa mi aspetterà, ma Francesca no, non essendoci mai stata. Camminando, le racconto delle mie precedenti escursioni qui, prima che le nostre discussioni finiscano come sempre in una sonora risata, o con uno dei due impegnato a fotografare qualcosa che lo ha particolarmente attirato.
Dopo un buon tratto sull'asfalto in direzione del Brallo, ecco finalmente stagliarsi sulla destra il sentiero con le indicazioni per il Monte Lesima, che finalmente ci permetterà di lasciare l'asfalto per camminare su di un terreno più morbido. Il cartello con le indicazioni bianco-rosse numero 101 per il Monte Lesima si trova in un punto in cui il sentiero tende ad allargarsi ed è parzialmente sommerso dalla legna accatastata: si intravedono i cartelli con le distanze e in prospettiva, quasi appoggiata sulla catasta di legna, alle sue spalle, la palla radar della montagna. Un'ora e quindici minuti per arrivare al Lesima, tre ore e mezza per il Brallo, che a noi per oggi non interessa. E' però quanto meno strano che, accanto al nome del paese di Travo - in provincia di Piacenza - raggiungibile proseguendo oltre il Brallo su questo stesso sentiero, non ci siano indicazioni circa il tempo necessario a raggiungerlo: è un'indicazione che non mi tranquillizza affatto!
Imbocchiamo il sentiero, che sale tra gli alberi: più che un sentiero, in questa stagione è diventato una specie di rio, con acqua che scende sotto alle foglie su di un terreno particolarmente fangoso. E' un sentiero insidioso, in alcuni punti, ma in altri si procede piuttosto bene e lo strato di foglie su cui camminiamo sembra essere asciutto e reggere bene il nostro peso senza celare particolari sorprese. In diversi tratti del sentiero, che corre per buona della prima parte parallelo - ma solo più in alto - alla strada asfaltata, si intravede tra i rami degli alberi ormai spogli la cima del Lesima in lontananza, oltre a meravigliose viste sulla Val Boreca. In particolare, in un punto panoramico, si scorge la stradina asfaltata che congiunge Pej con Vesimo come una specie di serpentello, in fondo alla valle, quasi sommersa da tutta la vegetazione che la circonda. Il cielo sempre più grigio, con un po di luce che filtrava tra le nubi, non ha fatto altro che rendere ancora più affascinante tutto questo meraviglioso momento.
Il sentiero alterna tratti in piano a tratti in salita più decisa e, ad un certo punto, siamo quasi costretti a buttarci letteralmente fuori dalla strada perché alcuni motociclisti, con le loro moto da cross, sbucano all'improvviso alle nostre spalle, passando sul sentiero prima di noi e, di fatto, rovinandolo totalmente.
Il sentiero, già pericoloso di suo in alcuni punti, per via dello strato di fango presente sotto alle foglie, diventa sempre più difficilmente percorribile, ora che i motociclisti hanno sollevato tutto il fango e in alcuni punti siamo costretti a salire inventandoci dei percorsi alternativi perché la stradina è diventata del tutto impraticabile. In un punto in ripida salita, in cui siamo ritornati a percorrere il sentiero, camminando a gambe larghe per evitare il rio di fango che scende al centro, non appena porto il peso sulla gamba destra sento il terreno sotto di me scivolare via. Non so cosa sia accaduto di preciso perché tutto è durato la frazione di un secondo: mi ritrovo per terra, nel fango, con un gran dolore all'occhio sinistro, senza occhiali, volati più avanti e senza un bastoncino, finito fuori dal sentiero. Il dolore all'occhio è forte e mi rendo subito conto di essermi fatto male seriamente, considerato anche il forte dolore al naso che mi colpisce poco dopo. Mi rialzo con l'aiuto di Francesca e da fermo, la terra fangosa mi frana via da sotto ai piedi: pazzesco.
Ci portiamo qualche metro più avanti e da una veloce prova di vista, mi rendo conto di vedere molto più annebbiato rispetto a quello che già vedevo prima: l'occhio sinistro mi è già stato operato tre volte per una pallonata da ragazzo ed ha già una vista molto limitata...figurarsi ora. Il naso e l'orbita gonfiano istantaneamente, ma tutto sommato sento di poter proseguire. Così, stando ben attenti a dove mettiamo i piedi, ci portiamo fino al bivio con il sentiero che conduce per il Passo del Brallo (a sinistra), che evitiamo mantenendo la destra ed uscendo dal bosco.
Aggirando un piccolo versante di montagna, arriviamo in uno dei punti più spettacolari della traversata: quello dove si intravede, poco sopra di noi, in prospettiva, la palla radar del Lesima e, alle nostre spalle, l'immensità del panorama che spazia dalla Val Boreca fino alla Valle Staffora. Ci fermiamo per qualche foto, è bellissimo da qui. Indosso il k-way perché il freddo entra nelle ossa e mi metto la bottiglia d'acqua fredda sul naso e sull'occhio, per trovare un po' di rinfresco dalla botta di prima.
Da qui, una ripida ma breve salita sull'erba ci porta ad immetterci sull'asfalto che avevamo abbandonato prima quando eravamo entrati nel bosco seguendo le segnalazioni con il numero 101: giunti sulla strada, raggiungeremo la cima della montagna camminando sull'asfalto, che arriva fino in vetta attraverso una stretta stradina.
Francesca gioca con gli scherzi della prospettiva, coinvolgendomi in alcune foto che mi strappano un sorriso, mentre ancora un po sono preoccupato per la salute del mio occhio, dolorante alla pari del naso. Mentre camminiamo in direzione della vetta, possiamo vedere alla nostra destra e alla nostra sinistra dei panorami pazzeschi: il bello del Lesima è proprio questo.
Arriviamo sotto al radar - che serve per il traffico aereo, lo dico ad uso e consumo di chi non ne conoscesse l'utilità - lo aggiriamo e saliamo sul prato che si trova alle sue spalle, dove svetta un'alta croce in ferro. Ci sediamo poco più avanti, ai piedi della croce. Anzi si siede, Francesca. Io rimango in piedi qualche istante a scattare foto panoramiche tutto intorno, da questa meraviglia di cima.
Dalla sinistra del radar, si vedono il Giarolo, il Chiappo, il Cavalmurone, il Carmo e tutta la catena che lo unisce all'Alfeo, che è proprio di fronte a noi. Ai piedi dell'Alfeo, Belnome, adagiato sul versante della montagna. Alle spalle di Belnome, si vede il corso del torrente Boreca, con il paese di Artana in mezzo al nulla: si può ricostruire ad occhio buona parte del percorso del "giro del postino" che ho fatto questa estate. Proseguendo alla sinistra dell'Alfeo, ecco Zerba mentre Ottone è nascosto. Ancora più a sinistra, tutta la parte di appennino in provincia di Piacenza, fino a Ponte Organasco. In fondo, svettano il passo del Brallo e il Monte Penice con le sue antenne.
Indosso la cuffia perché l'aria mi dà fastidio e mi siedo accanto a Frances ca, che ha già tagliato il formaggio e preparato la focaccia. Una bella golata di vino per dimenticare il male all'occhio, poi consumiamo velocemente il nostro pranzo ai piedi del radar, guardando il panorama attorno a noi, da lasciare letteralmente sbalorditi. Per non parlare del momento in cui tra le nubi filtra qualche raggio di sole, regalando una luce nuova a tutto il paesaggio circostante. Ci facciamo un autoscatto, prima di andarcene, dopo poche decine di minuti di pausa, ma oggi la strada che ci attende al ritorno è ancora lunga e non possiamo dilungarci troppo.
Tornati sull'asfalto, ai piedi della palla-radar, iniziamo una lunga ed estenuante discesa sull'asfalto. Visto il fondo fangoso del bosco, decidiamo di scendere seguendo l'asfalto fino al Passo del Giovà e da qui fino alle Capanne di Cosola. La strada, lunga, è comunque piacevole per la bellezza dei panorami che si possono ammirare: da qui sopra sembra di poter dominare il mondo, tanto è ampia la vista. Sul lato piacentino del Lesima, la montagna diventa rocciosa e lascia spazio a suggestivi panorami ai piedi dei suoi versanti, con terreni verdissimi che risaltano in mezzo alla vegetazione che ha già in buona parte assunto connotazioni autunnali.
Quando arriviamo al bivio tra il Brallo e il Passo del Giovà, abbiamo già le articolazioni che scricchiolano: eppure di strada ce n'è ancora! Dal Passo del Giovà fino alle Capanne di Cosola sembra corta, ma non lo è per nulla e ci rendiamo conto di stare facendo sempre più tardi. Fortunatamente, in compagnia (buona) il tempo passa senza annoiarsi mai e camminando, spesso ci voltiamo alle nostre spalle a vedere quanto ora è lontana la palla del Monte Lesima, ormai un ricordo al pari delle altre camminate insieme. Arrivati a Capanne di Cosola, una fontanella mi invoglia a mettere il naso sotto all'acqua gelata per calmare un po' i bollenti spiriti della botta del pomeriggio. Mi fanno così male il naso e l'orbita che quasi non sento l'acqua gelida sul viso e, sopratttutto, vedo ancora annebbiato. Poco oltre, ci sediamo su di una panchina per mangiare ancora un pezzo di cioccolata, mentre il freddo torna a farsi sentire più che mai, poi riprendiamo il sentiero che dalle Capanne conduce a Bocche di Crenna.
Quando si è già stanchi, questo sentiero diventa un inganno continuo, come i miraggi nel deserto: il valico di Bocche di Crenna sembra sempre vicino, ma non ci si arriva mai e i versanti delle montagne da attraversare sembrano moltiplicarsi. Alla nostra sinistra, un mare di nebbia sale minaccioso dal fondo della valle e in men che non si dica si avvicina a noi, avvolgendo tutto quello che incontra sulla sua strada: speriamo di arrivare all'auto prima che scompaia nella nebbia! Francesca mi maledice per tutta la strada che le ho fatto fare, è il segnale che è effettivamente tardi: arriviamo infatti alla macchina che sono ormai le cinque e un quarto, stanchi morti e infreddoliti.
E' stata una bella traversata, sicuramente da ripetere quando il tempo sarà più clemente, magari in primavera-estate. Peccato solo per gli strascichi che ha lasciato, visto che in conseguenza di quella botta, mi toccherà una settimana di ospedale con annesso trauma al bulbo oculare. Ma si sa...anche l'occhio vuole la sua parte...(ora ci rido sopra, per fortuna!)