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SULLA MULATTIERA, DA VEGNI A MAGIONCALDA

Lungo questo sentiero, si incontrano due borghi abbandonati: il già noto Chiapparo e la piccola cascina di Casoni dei Rissotti

PAESI FANTASMA: Chiapparo, Casoni dei Rissotti

RAGGIUNGIBILI DA: sentiero Vegni-Magioncalda

LUNGHEZZA DEL PERCORSO: circa 12 km (andata e ritorno)

TEMPO DI PERCORRENZA: meno di 4 h. (andata e ritorno)

SEGNAVIA: nessuno (si segue la mulattiera)

 

 

La strada sterrata che poco prima di arrivare al paesino di Vegni, in un punto in cui si intravedono i tetti rossi del poco distante villaggio di Agneto, taglia il versante della montagna in direzione del paese abbandonato di Chiapparo, aveva ancora qualcosa da regalarmi, lo immaginavo. Quando la scorsa primavera visitai il paese fantasma persi molto tempo a curiosare tra le porte semiaperte delle case e così non trovai il tempo di proseguire sulla strada che aggirava le case diroccate e proseguiva oltre. Come tutti i lavori “lasciati a metà”, anche questo andava portato a termine, così all’inizio dell’autunno sono tornato a Vegni, in cima alla Val Borbera, per completare la mia opera.

La mulattiera, annunciata da due paletti rossi piantati ai lati, parte in leggera salita, sulla sinistra, quando il campanile di Vegni compare sullo sfondo, circa un chilometro prima dell’arrivo in paese e devo affrontare il primo tratto con il naso tappato per la puzza fortissima di qualche animale morto nei paraggi. Avrei preferito una partenza migliore, ma dopo pochi passi l’aria torna respirabile e la strada spiana, regalandomi, quando mi volto, una bella vista delle case di Vegni.

Dopo poche centinaia di metri, la strada inizia a curvare verso sinistra, aggirando il Monte Carmetto a mezza costa e lascia intravedere, oltre la punta degli alberi, la cima del Monte Legnà. Basta scendere di poco con lo sguardo per vedere spuntare, in mezzo alle foglie degli alberi, le case di Cartasegna.

Cartasegna è un piccolo paesino ai piedi del Passo del Legnà, che si sviluppa dall’alto in basso con una forma piuttosto allungata, dominato in cima dalla chiesa. Tolgo lo zaino e cambio obiettivo alla macchina fotografica, mi serve un buono zoom per fare qualche scatto più ravvicinato di Cartasegna e appena trovo un buco tra le foglie ne approfitto per un po’ di foto. So che poco più avanti lo zoom mi servirà di nuovo e così evito di sostituirlo. Proseguendo sul sentiero, infatti, dopo alcuni saliscendi, si completa l’aggiramento del versante del Carmetto e si arriva in vista di altre due frazioni dell’alta Val Borbera: Connio e Carrega Ligure. Anzi, le frazioni a dire il vero sono tre, perché da qui, quando si guarda il Connio, scendendo con lo sguardo fino al fondo del paese, si possono vedere i ruderi diroccati e le case in pietra che compongono Connio Vecchio, da alcuni catalogato tra i paesi fantasma della provincia di Alessandria. Nel mio precedente lavoro non l’ho inserito, perché fatico a classificarlo come un paese vero e proprio, trattandosi solo di alcune tra le più antiche abitazioni del paese ormai crollate, praticamente un tutt’uno con la parte “nuova” di Connio. Scatto qualche foto ravvicinata dei ruderi di Connio Vecchio e dei paesi di Connio e Carrega Ligure, così vicini da sembrare un paese solo, poi alzo l’obiettivo per fotografare la cima del Poggio Rondino e la piramide del Monte Carmo, che sono però in parte nascoste dalla nebbia che le avvolge. Oltre Carrega, fa la sua comparsa anche un altro mucchietto di case con i tetti rossi: il piccolo paesino di Fontanachiusa. Si vedono tutti i paesi dell’alta valle, tranne uno, quello che dovrei raggiungere oggi nel mio itinerario, ovvero Magioncalda. Dico “dovrei” perché così, a naso, ho sempre pensato che la strada che prosegue oltre Chiapparo conduca lì, ma la certezza non ce l’ho perché il sentiero non è segnalato e perché in rete, al riguardo, non si trova praticamente nulla, a differenza di altri itinerari magari poco conosciuti ma ampiamente descritti su internet da qualche appassionato.

Dopo circa 3 chilometri dalla partenza, attraversato qualche rio, eccomi finalmente in vista delle case diroccate di Chiapparo, paese fantasma tra i più caratteristici che ho visitato e descritto nei miei racconti. Lo so che ci sono già stato, ma un giro tra le case lo faccio eccome, anche questa volta. Così, giunto alla biforcazione del sentiero, tengo quello basso di sinistra che mi porta nella piccola piazzetta dove si trovano i tavoli in legno che ospitano, ogni anno, la rimpatriata degli ex paesani per la “festa al Chiapparo”. Anzi, a dirla tutta, se sono venuto qui in mezzo un motivo c’è: ho visto dalle foto di Paolo De Lorenzi, quello di “Paesi Abbandonati”, per intenderci, alcune immagini di interni delle case di Chiapparo e muoio dalla curiosità di capire quali siano. Anzi, mi girano le scatole perché pur essendo stato molto attento, non ho visto porte aperte o altro, quindi oggi andrò alla ricerca di quelle case che ho visto nelle foto di De Lorenzi.

Dopo aver scartato quelle che chiaramente non potevano essere, quindi quelle chiuse a chiave, quelle diroccate o quelle che in realtà erano solo delle stalle, vado a curiosare negli angoli più nascosti del paese, approfittando dell’assenza delle ortiche (che c’erano quando sono stato qui qualche mese prima), ma niente da fare. Non si cava un ragno del buco neanche a pagarlo oro.

Passo tra la casa con la pittura di San Giuseppe e San Rocco e scendo sotto alla casa più grande del paese, ancora in piedi. Il portone in basso è chiuso con una catena e un lucchetto, deve essere una stalla. Anche quello sopra sembra chiuso e non mi avvicino neanche a guardare, proseguendo oltre, in mezzo ai ruderi, fino ad arrivare nei pressi del lavatoio a due arcate con la madonnina al centro. Da qui scendo in un punto in cui l’altra volta non ero stato, vicino al portico che conduce davanti alla casa affrescata, ma anche qui non trovo case con le porte aperte. Bah. Torno indietro e rimango a fissare la casa con il terrazzo (semicrollato) e con un dipinto sacro sulla facciata, quella con gli archi in pietra che potete vedere sulla copertina de “L’appennino abbandonato”. Sotto è una stalla, ok. Sopra però…salgo i corti gradini invasi dalle erbacce cercando di avvicinarmi per spingere la porta, ma….faccio giusto in tempo a fermarmi! Il terrazzo, che dalla parte opposta è già crollato, si sta aprendo anche da questa parte e non c’è più il pavimento! Dietro al vetro della finestra si intravede qualche ombra, porcamiseria, eppure…non può essere questa la casa di cui De Lorenzi ha fotografato l’interno, come può aver fatto a entrare senza il pavimento?!?

Ci rinuncio, basta. Vorrò mica perdere qui tutta la mattina? La mia meta è più avanti, alla fine di questo sentiero, dove dovrebbe esserci Magioncalda.

Davanti a questa casa con gli archetti in pietra, il sentiero prosegue lasciando Chiapparo e lo seguo fiducioso: nei primi metri è un po’ sporco e continua a regalare belle viste su Carrega e su Fontanachiusa, ma si può seguire la traccia della strada, che poco più avanti diventa ben più visibile e, superato un rio, sale con una ripida salita costellata di pietre. Un rumore mi fa voltare velocemente, una fiat Panda bianca alle mie spalle sta affrontando la salita della sterrata, per poco non me ne accorgo: mi faccio da parte, è un vecchietto che ha l’aria di qualcuno che sta andando a far legna. Oppure a cercar tartufi, sono indeciso. Ci salutiamo alzando la mano e mi rimetto in cammino, continuando a risalire, tra antichi esemplari di castagni e noccioli, la valle del torrente Carreghino. Dopo una leggera discesa accanto ad alcuni muretti a secco (nei pressi della quale ritrovo parcheggiata la panda bianca del vecchietto…che sta facendo legna poco distante…), aggirando uno dei numerosi versanti della montagna, mi trovo di fronte a una frana, che ha spazzato via un tratto di sentiero, ora invaso dai detriti e dai tronchi di alcuni alberi che sono stati letteralmente spazzati via. Poco oltre, si supera un rio e dopo alcuni saliscendi, ecco che in lontananza, sul sentiero, fanno la loro comparsa sullo sfondo le sagome di alcune costruzioni.

Non sono arrivato totalmente impreparato alla vista delle case: studiando il percorso su di una cartina che porto sempre con me, avevo visto segnalata la presenza di una specie di cascina lungo il sentiero, ma sinceramente non pensavo fosse un altro piccolo villaggio fantasma. I Casoni dei Rissotti, così si chiamano, sono tre grandi costruzioni in pietra, poste sul lato del sentiero una accanto all’altra. Della prima che si incontra è rimasto solo il piano basso, mentre la parte superiore della costruzione è tutta crollata; alla seconda sembra invece mancare solo il tetto, perché le pietre della facciata sono rimaste esattamente in posizione: la sagoma di una porta sormontata da una trave in legno, all’interno della quale si possono vedere solo macerie e una piccola finestra esattamente sopra di essa, davanti alla quale ancora si può riconoscere un piccolo davanzale in pietra. A dire il vero, però, basta guardare questa casa sui lati per capire che manca anche molto altro, oltre al tetto! La terza e ultima costruzione, la più grande, leggermente staccata dalle altre, ha ancora le porticine in legno e ha conservato anche parte del tetto che però sta crollando. Accanto ad essa, un enorme albero sembra farsi spazio sempre più insistentemente fino quasi a obbligare la casa a spostarsi, crollando. All’interno delle case, si possono ancora vedere le tipiche mensole dell’epoca, in legno, incastonate nei muri in pietra, come già ho avuto modo di vedere in altri paesi fantasma. Chissà i Casoni dei Rissotti, all’epoca, da chi erano abitati e quando sono stati abbandonati? Non ho trovato notizie in merito e spero che qualche persona di quelle parti, magari leggendo questo racconto, possa darmi qualche notizia in più.

Una lunga discesa, dopo i Casoni, mi accompagna fino all’uscita dal bosco, che avviene nei pressi di una pietraia dove gli alberi si diradano e inizio ad intravedere le case di Fontanachiusa sul versante opposto della montagna, proprio ai piedi del Carmo, sulla cui cima la nebbia si è finalmente diradata, nel frattempo. Pochi passi ancora e si rientra in un boschetto piuttosto breve, che mi permette di vedere davanti a me, quando gli alberi sono un po’ meno fitti, Magioncalda: è ancora abbastanza distante, ma da qui si ha una vista meravigliosa su questo piccolo paese ai piedi del Monte Pio di Brigneto, poco prima del confine con la Liguria.

Di Magioncalda, la cosa che sicuramente colpisce di più, a prima vista, è la bella chiesa in stile ligure, con la facciata colorata di un rosso smorto: all’opposto di Cartasegna, la chiesa di Magioncalda è in fondo al paese, che a partire da essa si snoda verso l’alto. Non manca molto, ormai: il sentiero mi conduce al guado de “Il fossato” (attenzione nelle giornate di piena del rio) e, appena superato il ruscello, eccomi sull’ultimo tratto di sentiero, quello che si immette nella strada asfaltata che, da Fontanachiusa, raggiunge dal basso il paese di Magioncalda: missione compiuta!

Sull’asfalto tengo subito la stradina bassa, quella che va in direzione della chiesa, che raggiungo dopo pochi minuti. E’ intitolata a San Giovanni Battista ed è citata in un atto del 1197 con cui Baiamonte di Figino, alla presenza dell’abate di Santa Maria di Rivalta, in Tortona, dona al proprio figlio Rosero una sua proprietà nella villa di Magioncalda, intorno alla chiesa: fu una fiorente grangia monastica fino alla metà del XIII secolo, come dettagliatamente descritto nel pannello informativo posto all’ingresso del paese. Raggiungo la chiesa, posta in una bella posizione panoramica su tutta l’alta val Borbera: è strano guardare il panorama da questa angolazione, non sono abituato ad essere su questo versante della montagna. La chiesa, per quanto antica è molto ben curata e ospita una meridiana sul muro posteriore, oltre all’orologio sul campanile; attorno ad essa un piccolo prato, delimitato da alcuni bastioni in sasso. Molto bella la facciata, come detto ma non riesco a fotografarla tutta perché si trova in una posizione davvero strana e neanche scendendo ai piedi del muretto che ne delimita il prato riesco a catturarla per intero. Peccato anche per il portone chiuso: mi sarebbe piaciuto visitare l’interno, che da qualche foto vista in rete è molto ben curato.

Alle spalle della chiesa, il paese. Magioncalda è un borgo vecchio, tipicamente ligure. Si snoda in salita lungo ripide stradine e stretti caruggi alternando vecchi casermoni in pietra a pochi passi dal crollo a belle casette in sasso di recente ristrutturate. Due ragazzi giovani, seduti su di un balcone, mi guardano mentre salgo con lo zaino. Gli dico che arrivo da Vegni, che non ho mai visto Magioncalda prima di oggi e che da qui però venivano i nonni di un mio amico di Genova, che faceva di cognome Bavoso. Non a caso, mi confermano che è uno dei cognomi più diffusi a Magioncalda. Li saluto e riprendo il mio tour tra le case, molte delle quali chiuse, ma qualcuna ancora aperta complice il discreto fine settimana di fine settembre. Arrivato in cima al paese, riprendo a scendere sull’altra strada, giungendo nei pressi di una bella fontana a due arcate quasi identica a quella di Chiapparo, con una madonnina al centro e una data dipinta: 1953.

Mi lascio alle spalle le case riprendendo l’asfalto fino all’intersezione con il sentiero per “Casùn dei Risciotti, Ciapà e Vegni”. E’ un paese strano, Magioncalda, davvero il più marcatamente ligure tra quelli che ho visto. Dicono che d’inverno non ci viva più nessuno e in un certo senso in una giornata come oggi, dove ho visto già due villaggi abbandonati, sembra quasi una premonizione. Ma non esageriamo, Magioncalda, in estate soprattutto, è un paese ancora vivissimo.

Camminando sulla strada del ritorno, attraverso la pietraia e il piccolo boschetto che mi conducono ai Casoni dei Rissotti, dove ne approfitto ancora per fare qualche foto salendo dietro alle case, sul versante della montagna. Niente di che, solo qualche cumulo di macerie in più: nella mia testa c'è ancora Chiapparo, che raggiungerò tra qualche decina di minuti. Per tutto il viaggio mi sono scervellato a pensare quale sarebbe potuta essere, o quali sarebbero potute essere, le case di cui De Lorenzi ha fotografato l'interno: ora però mi è venuta un'idea.

Quando arrivo tra i ruderi, mi dirigo verso la piazzetta, davanti alla casa con il dipinto di san Giuseppe e san Rocco: la porta verde chiusa con lo spago è lì che mi guarda. Mi avvicino, slaccio lo spago e spingo piano la porta, sai mai che cada tutto.

Non si apre, spingo più forte. Cigolando, la porta si apre e una puzza tremenda mi arriva sotto al naso. Mamma mia! Davanti a me, anche se è buio, ci sono delle scale che salgono, così piccole che farei quasi fatica a passarci, ma oltre a non sapere se il piano superiore mi reggerà, con questo odore tremendo (immaginate di aprire una cantina chiusa da dieci anni...) non me la sento proprio di salire.

Richiudo la porta, lego lo spago e me ne torno verso Vegni, un po' deluso per non essere riuscito a placare la mia curiosità. Quando sono quasi arrivato al punto da cui ero partito, mi blocco di colpo sulla strada a pensare: ma cavolo...vuoi vedere...

Ripenso alle case di Chiapparo, alla più grande di tutte. La porta che dava sul terrazzino era chiusa con un lucchetto, ma non era fissato a nulla. Solo un bastone in legno più largo della porta la teneva chiusa, ma era solo appoggiata. Stupido io, ho provato a guardare dappertutto e non ho pensato ad avvicinarmi a questa casa!

Sarà per un'altra volta, non mi va di tornare ancora indietro. E poi non si può avere tutto: oggi ho scoperto che dopo Chiapparo c'è un altro minuscolo borgo abbandonato, Casoni dei Rissotti e che il sentiero che ho percorso porta a Magioncalda. Scoprire anche la casa aperta di Chiapparo sarebbe stato troppo: il mondo va scoperto poco alla volta!

A un passo dalla vetta
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