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IL PASSO DEL CONDOTTIERO

Dal Brallo al Penice sui sentieri della Via Longa

PARTENZA: Passo del Brallo (mt. 951)

ARRIVO: Monte Penice (mt. 1460)

TAPPE INTERMEDIE: Rifugio La Faggeta (mt. 1070), Passo Scaparina (mt.1108)

LUNGHEZZA DEL PERCORSO (A/R): circa 18 km

TEMPO DI PERCORRENZA (A/R): circa 5 ore

SEGNAVIA: bianco-rosso 101; bianco-rosso "Via Longa" 

 

 

Sulle cartine capita spesso di imbattersi in un tracciato denominato "Via Longa", che unisce Emilia, Lombardia, Piemonte e Liguria. Lo stesso tracciato, anche se con una percorrenza più breve, è quello contraddistinto dal segnavia CAI bianco-rosso numero 101, con partenza da Travo, località della val Trebbia piacentina e arrivo al Monte Carmo o alle Capanne di Carrega.

Detto che sono entrambi sicuramente interessanti, ma decisamente a lunga percorrenza, un itinerario ideale per un'escursione di una giornata è invece quello denominato "Passo del condottiero", realizzato dall'Associazione La Pietra Verde con partenza dal Passo del Brallo, che ne ricalca in parte il percorso: quando l'avevo visto su quel grande pannello pieno di sentieri che si trova al Brallo, mi era subito venuta voglia di provarlo.

Arriviamo così al Passo del Brallo in una delle rare giornate di sole di un settembre decisamente grigio e parcheggiamo l'auto lungo la strada. Ci prepariamo e camminiamo in mezzo al Brallo prendendo la strada che sale verso la chiesa, di fronte al distributore di carburante, dove bene sono indicati tutti i sentieri percorribili: noi oggi seguiremo tre diverse segnalazioni - via longa, passo del condottiero, 101 - tutte dirette alla cima del Monte Penice.

Così, imboccato l'asfalto che sale, oltrepassata la chiesa del Brallo, prendiamo a destra la piccola stradina asfaltata che si addentra in una bella pineta, seguendo le indicazioni per Dezza e, poco più avanti, in corrispondenza di un bivio con il breve sentiero "la pinetina", troviamo le indicazioni per il Monte Penice.

E' asfalto, ma non sembra mica. La strada taglia la pineta con uno stretto serpentello che sembra quasi un qualunque sentierino di montagna: evidentemente, molto traffico da queste parti non c'è mai stato. Dopo una salita iniziale, l'asfalto spiana e, addirittura, scende leggermente passando accanto ad alcune cataste di legna, dove si può incontrare qualche dubbio per le segnalazioni bianche e rosse che compaiono un po' dappertutto, ma noi proseguiamo dritti sull'asfalto, fino al bivio per Dezza, dove prendiamo la strada di sinistra.

Questa strada è asfaltata per modo di dire, perché ci sono crateri e voragini in ogni dove e conduce in pochi minuti nei pressi di una costruzione che vediamo scorgere in lontananza mentre ci stiamo avvicinando: è il rifugio La Faggeta, incustodito e situato in un bel pianoro ai confini del bosco. Appena dopo di noi arrivano alcune auto che parcheggiano nel prato, rovinando per un attimo quel clima idilliaco che si era creato a contatto con la natura: noi compiamo un veloce giro intorno alla struttura, scattando alcune foto, poi prima che le persone si avvicinino al rifugio siamo già incamminati lungo il sentiero alla volta della nostra prossima meta.

Un grosso cartello con la scritta "Passo del condottiero" invita ad entrare all'interno della faggeta poco prima del rifugio, su di uno stretto sentiero segnato dalle recenti precipitazioni e dal passaggio di mezzi motorizzati: più si avanza, più gli alberi si fanno radi, fino ad arrivare in un punto dove il disboscamento ha lasciato segni evidenti. Seguendo sempre le segnalazioni bianche e rosse pitturate sugli alberi, tagliamo a metà quel che rimane del bosco, fino a che il sentiero prende leggermente a scendere e incontra il bivio con un altro sentiero, quello della Muscarella, al quale occorre proseguire diritto, innestandosi su di una carrareccia più ampia che, in piano, va a confluire dopo poco sull'asfalto della strada provinciale 69 Brallo-Ceci.

La strada va però soltanto attraversata, per poi prendere a salire, sul lato opposto, su di un evidente e ben segnalato sentiero pietroso che attraversa una pineta, mantenendosi parallelo alla strada provinciale, come del resto intuiamo dal rumore delle moto che passano poco più in basso di noi. La pineta lascia presto spazio ad un bosco misto e, finalmente, in un punto in cui la vegetazione concede un po' di respiro, si riescono ad intravedere in lontananza le antenne del Penice: la strada è ancora molto lunga, altroché...!

Nel giro di poco, però, il sentiero prende a scendere e raggiunge nuovamente l'asfalto: non lo abbandonerà più fino al Passo Scaparina. Proseguiamo così sulla strada, con magnifiche viste sulla frazione di Ceci, aggrappata alla montagna alle spalle della quale spuntano le antenne del Penice. Ma non solo, perché la vista si estende a buona parte della val Trebbia ed è un piacere per me, che non passo spesso da queste parti, vedere un po' di panorami completamente nuovi.

Più si avanza, più Ceci si mostra integralmente ma l'asfalto, spostandosi alle spalle di una piccola collinetta, regala anche una vista sull'altro lato di vallata, permettendoci di scorgere le frazioni di Castellaro e Cignolo. Un curvone, ed eccoci in dirittura d'arrivo verso il Passo Scaparina: la strada passa sotto ad una pineta e ad ampi prati sfalciati, nei pressi di una bella cappelletta con una madonnina all'interno, quindi, compare in lontananza il cartello che segnala l'arrivo al valico.

Superato il bivio per Ceci, dove troviamo le segnalazioni ormai arrugginite di un sentiero diretto a Cegni, passiamo davanti all'omonimo bar-ristorante, pieno di motociclisti e, superato anche il bivio per Menconico, prendiamo a salire sulla destra, in un prato dove il sentiero è segnalato da un paletto bianco e rosso. Il sentiero passa lateralmente accanto al ristorante e regala una splendida vista fino al Lesima, del quale spunta in lontananza la palla radar, per poi andare ad immettersi su di una strada pietrosa che prende decisamente a salire in direzione di alcune stalle e di un centro sperimentale.

I panorami in questo tratto sono a dir poco splendidi e si estendono fino a Varzi, che è possibile catturare con una macchina fotografica dotata di un buono zoom. Ma è in generale l'ambiente attorno a noi ad essere splendido e rilassante, con ampi prati sfalciati sui quali riposano ancora i balloni di fieno e tutto intorno solo silenzio. 

Costeggiamo una pineta e il sentiero, dopo essere sceso alla volta dei ruderi di una costruzione in pietra, prende improvvisamente a salire in maniera più decisa, facendosi più duro e meno panoramico: c'è poco da vedere, qui, con  i pini che coprono tutto il paesaggio circostante bisogna per forza di cose concentrarsi sulla salita, che sembra davvero non finire mai.

Dopo un'altra, ripida, rampa, finalmente si raggiunge una mulattiera di crinale che regala i primi scorci sulle antenne del Penice, ormai a pochi passi. Un bel tratto pianeggiante preannuncia l'ultima rampa, che porta ai piedi delle antenne.

E' la prima volta che vengo sul Penice, anche se con tutte queste antenne e la statua del Redentore, sembra quasi di essere sul Giarolo (anche se in quanto a numero di antenne, beh, non c'è proprio paragone!). Tagliamo il versante della montagna sullo stretto sentierino che attraversa il prato, portandomi sull'asfalto, che seguirò fino al Santuario posto in vetta.

Ci sono diverse macchine parcheggiate, qualcuno fa giocare il cane e qualcuno, probabilmente, è al bar sotto al Santuario che sta pranzando, vista l'ora. Facciamo gli scalini che dal parcheggio conducono al Santuario, di fronte al quale svetta la statua del Redentore identica a quella del Monte Giarolo, anch'essa datata 1900, quindi ci fermiamo a scattare qualche foto.

Il tempo però cambia rapidamente e una fitta nebbia sta per inghiottire le antenne, coprendo totalmente il lato della valle Staffora e quello della val Tidone. Va un po' meglio sul lato della val Trebbia, dove riusciamo a vedere e immortalare lo splendido paesaggio di Bobbio, ma già scendendo con lo sguardo, vediamo la foschia nascondere tutta la vallata, così per quanto con lo sguardo cerchiamo la sagoma inconfondibile della Pietra Parcellara, la nostra ricerca risulterà vana.

Entriamo nel Santuario, risalente all'epoca longobarda e voluto, pare, da San Colombano: è piccolo, accogliente, governato dal silenzio. Scattiamo qualche foto e usciamo subito, perché il tempo, là fuori, non ci sembra dei migliori.

E' un peccato perché credo che dal Penice si possa ammirare un panorama davvero magnifico nelle belle giornate e oggi, purtroppo, dobbiamo accontentarci di qualche panorama di Bobbio e poco altro. Ma ci torneremo, ci torneremo.

Fuori la nebbia è aumentata ulteriormente e si fa sempre più vicina alla cima della montagna: prima che sparisca, inghiottito dalla nebbia, mi faccio scattare una foto tra il Santuario e il Redentore, poi ci incamminiamo per il ritorno, sperando di evitare l'acqua che, probabilmente, tra poco inizierà a scendere.

Il sentiero del ritorno è lo stesso dell'andata e, dopo il primo tratto pianeggiante, ci accorgiamo subito di una piccola differenza: la discesa è nettamente più veloce! Anche se, a dirla tutta, camminare su di un fondo così pietroso, in una discesa così ripida come quella che inizia non appena scompaiono le antenne alle nostre spalle, è un dolore tremendo per le ginocchia.

Giunti nei pressi del rudere in pietra, ai piedi della ripida discesa, sembra quasi che siamo riusciti a lasciarci il brutto tempo alle spalle, come testimoniano le nuvole nere che ora coprono la cima del Penice, mentre sopra alle nostre teste il cielo sembra essersi tranquillizzato. Così, dopo qualche centinaio di metri, ai bordi del sentiero, ci fermiamo in un ampio prato a mangiare qualcosa, in un punto panoramico da cui si può vedere anche la sagoma dell'Alfeo.

E' destino, però, che oggi non si possa stare tranquilli: le prime gocce cadono quando abbiamo appena finito di mangiare, invitando ad alzarci velocemente. Sembra solo un falso allarme, per fortuna, perché appena raggiungiamo l'asfalto, nei pressi del Passo Scaparina, pare avere già smesso, ma noi, per precauzione, acceleriamo il passo e anzi, convinti di recuperare tempo, decidiamo che al ritorno ci manterremo sull'asfalto fino al Brallo.

Non so se sia stata la scelta giusta e se, effettivamente, la strada era più breve. Resta il fatto che questa scelta, pur non salvandoci dall'acqua - abbiamo preso una discreta lavata, lungo la strada - ci ha permesso di ammirare la bella frazione di Pregola, decisamente caratteristica con le sue ville, i suoi numerosi campi da tennis (ospita un centro federale nazionale), le rocce scolpite con immagini sacre e la natura selvaggia che la circonda. Quando siamo a Pregola, pare che anche al Brallo abbia appena finito di piovere, come testimonia un pallido sole che ora illumina le case del valico, che compaiono oltre il campanile di Pregola, mentre alle nostre spalle, il temporale partito dal Penice pare seguirci e lampi e tuoni ci accompagnano praticamente per tutta la strada del ritorno. Lasciata Pregola, una lunga strada pianeggiante ci accompagna fino al Brallo. La percorriamo lentamente, con l'acido lattico a mille nelle gambe: è stata una camminata piuttosto impegnativa, alla quale bisogna aggiungere l'accoppiata "scarponi-asfalto" che si rivela sempre micidiale. Ma non è mica finita, perché prima di goderci il meritato riposo, dobbiamo anche aiutare un motociclista rimasto in panne, spingendogli la moto in salita per 3 volte nel tentativo di farla ripartire lanciata in discesa.

Niente da fare, la moto non parte. Il motociclista ci ringrazia, sconsolato, raccontandoci che cavolo, la moto era nuova e non capisce come mai, più qualcos altro che noi, paonazzi, non ascoltiamo nemmeno, stravolti da questo ulteriore fuori programma.

Per fortuna, non ci sono altre sorprese e possiamo raggiungere la macchina per cambiarci e, finalmente, riposarci da questo ritorno che gli eventi ci hanno costretto a percorrere quasi di corsa. Ora, l'obiettivo, oltre a quello di tornare sul Penice con il sole, è quello di completare la via Longa: inizio a lavorarci su!

A un passo dalla vetta
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