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INVERNO A RENEUZZI

Visitare un paese fantasma in inverno può regalare tante sorprese. E l'impressione di essere tornati indietro nel tempo...

PAESE FANTASMA: Reneuzzi

RAGGIUNGIBILE DA: Croso

LUNGHEZZA DEL PERCORSO: circa 8 km (andata e ritorno)

TEMPO DI PERCORRENZA: meno di 3 h. (andata e ritorno)

SEGNAVIA: bianco-rosso 242

 

 

Andare a Reneuzzi in inverno è un’idea che mi è sempre girata per la testa e se leggete i miei precedenti racconti potete trovarne la conferma. Sono curioso di vedere nuovi angoli del paese abbandonato, angoli che normalmente sono nascosti dalla opprimente vegetazione e che non sono per tutti. Oggi, finalmente, è arrivato il momento di mettere in atto questi propositi, ma per una volta non voglio percorrere sempre il solito itinerario e ho deciso di arrivare al paese abbandonato dalla parte opposta della valle: partirò dal minuscolo villaggio di Croso, nella più sperduta valle dei Campassi.

A Croso ci ero stato già una volta, la scorsa estate, quando avevo percorso con il mio amico Fox il giro dei mulini della valle dei Campassi: a dire il vero, eravamo partiti per andare all’Antola con il sentiero 245 da Vegni, poi abbiamo dovuto più volte cambiare programmi lungo il percorso e ci eravamo limitati ad un anello con partenza e arrivo a Vegni e passaggi a Campassi, Croso e ai tre villaggi di pietra, con tanto di violentissimo temporale estivo che ci aveva colto appena dopo i ruderi di Casoni. Oggi ci ritorno e per la prima volta tenterò di arrivarci in auto, curioso di sapere come sarà la strada fino a qui: di strade impervie e strettissime ne ho fatte a volontà, ma non finisco mai di stupirmi perché ogni volta è come se ne trovassi qualcuna ancora più stretta e pericolosa (pericolante?)!

Il viaggio alla volta di Croso è lungo e sfiancante. Dopo aver svallato ed essere arrivato in val Borbera, supero le case di Cabella e prendo a destra il bivio per Carrega Ligure. Poco prima di arrivare al ponte sul torrente Carreghino, sulla destra in salita ecco il bivio per Agneto. Le violenti piogge di questo inverno a dir poco “autunnale” hanno messo a dura prova una zona così incontaminata e così la stradina scavata sul fianco della montagna, sotto a imponenti grotte, è invasa da pietre e rami praticamente in ogni punto. C’è da sperare che non ci siano delle frane, visto l’andazzo.

L’arrivo ad Agneto è preannunciato dalla vista del suo campanile, poi ecco le case, nascoste dietro ad una curva. Qualche auto parcheggiata mi lascia intendere che qualcuno qui c’è ancora, nonostante la stagione invernale, ma chissà che non siano solo dei ritorni della domenica. Dopo Agneto la strada scende per un buon pezzo, fino ad arrivare nei pressi del ponte sul rio Berga: qui vicino si trova l’imbocco del sentiero che conduce al Mulino di Agneto, che avevo visitato lo scorso agosto. Il rio dei Campassi, che scende nei pressi del Mulino di Agneto, si incontra qui con il rio Berga originando il torrente Agnellasca.

Superato il ponte, la stradina si fa più stretta e sale, fino ad arrivare alla volta del bivio Berga-Campassi, dove svolto bruscamente a sinistra inoltrandomi per la prima volta su questa stradina che, via via, diventa sempre più stretta. Non è per niente breve e ci sono dei punti in cui se incontrassi una macchina non so, sinceramente, cosa farei. In mezzo agli alberi spogli si intravedono Agneto e Daglio, ma anche buona parte della valle dei Campassi, che si apre interamente alla mia vista solo quando giungo nel nucleo di case che forma il paese di Campassi, dove non vola una mosca: credo proprio che non ci sia nessuno. Proseguo sulla strada oltre Campassi e giungo in breve a Croso, con le sue caratteristiche case in pietra poste alle pendici della Sella Banchiera: parcheggio l’auto vicino all’imbocco del sentiero numero 242, mentre due cani scendono abbaiando da una casa arancione con il camino che fuma, il Bed and Breakfast che si trova in questo minuscolo paesino. Indosso zaino e scarponi con i cani che curiosano accanto a me, mentre una voce femminile li chiama a gran voce dalla porta di casa.

Il sentiero 242 scende tra due costruzioni in pietra al di sotto della strada asfaltata e si inoltra subito in un bosco dal quale però, visti gli alberi spogli, si riescono a intravedere il paese di Campassi e, sotto al sentiero, le poche case che compongono la frazione di Boglianca. Il sentiero scende poco alla volta e rispetto al mese di agosto, quando lo avevo percorso, sembra un paradiso: non ci sono spine, erbacce, ortiche, nulla di nulla. Si intravedono le case del paese fantasma di Ferrazza, aggrappate al versante della montagna e guardando dritto davanti a me si riconoscono le case di Reneuzzi, baciate da un bel sole. Sarà dura arrivare fino là sopra, ma obiettivamente oggi la camminata che mi aspetta è piuttosto corta: il cartello a inizio percorso segnalava un’ora e mezza, ma credo che ne impiegherò anche di meno.Il sentiero si immette in quello più largo che conduce a Boglianca e scende più decisamente alla volta delle acque del rio dei Campassi: dopo aver superato un rio che scende impetuoso, carico delle piogge degli ultimi giorni, nei pressi del quale il ghiaccio ha disegnato delle sculture sull’erba, si giunge finalmente in vista dei mulini. Lo scenario qui è decisamente differente, inusuale direi. In estate queste antiche costruzioni in pietra quasi non si vedono, scompaiono inghiottite dalla vegetazione, mentre oggi sono qui, davanti ai miei occhi, in tutta la loro bellezza. In particolare il Mulino dei Gatti, quello più a monte, non sembra lontanamente quello che ero abituato a vedere. Il muschio ricopre tutto il tetto, che è bucato, mentre finalmente posso avvicinarmi alla porticina situata sul lato ed entrare per fotografare la macina rimasta all’interno. Scendo più a valle per attraversare il rio sul ponticello in legno e scattare qualche foto anche al Mulino Gelato. Il rio dei Campassi è abbastanza carico d’acqua, ma è evidente che il peggio da queste parti sia ormai passato. Raggiunta la sponda opposta, risalgo il rio per un breve tratto, fino a portarmi davanti al Mulino dei Gatti, dove mi fermo a scattare ancora qualche foto, poi mi dirigo verso l’imbocco del sentiero 242: la salita a Reneuzzi attraverso questa decina di lunghi tornanti sarà faticosa, ma cercherò di prendere il mio passo per non andare, come si dice, fuori giri. Lungo il sentiero che sale al borgo abbandonato si possono ammirare piacevoli scorci sui paesi dell’altro versante, in particolare oltre ai già menzionati Croso, Boglianca e Campassi, anche sulle poche case che compongono Cà dei Campassi, paese quasi invisibile da ogni punto del percorso. Quando il sentiero inizia a spianare è il segnale che non manca molto: un piacevole tratto sull’erba morbida baciata dal sole preannuncia l’arrivo in vista delle case diroccate di Reneuzzi.

Il primo impatto è strano: la disposizione delle case mi è familiare, ma è tutto molto più “aperto”, si nota tantissimo l’assenza della opprimente vegetazione che per buona parte dell’anno nasconde questi ruderi trascinandoli quasi a terra, tanto che mi sorprendo quando – arrivando in paese dal basso – alzo la testa vedendo il profilo della chiesa di San Bernardo alla mia sinistra. Non sembra lo stesso Reneuzzi che sono abituato a visitare e me lo gusto anche di più, aggirandomi tra le case con maggiore calma e tranquillità rispetto ad altre volte.

Arrivo alla prima grande casa che si incontra entrando in paese dal rio, quella con il balcone in legno a cui mancano le assi del pavimento e finalmente riesco ad entrare nel piccolo cortile che si trova davanti: sul fianco della grande casa si trova una costruzione più bassa che mi sembra una stalla, ma avvicinatomi riesco ad aprire la porta e vedo che all'interno ci sono alcuni mobili in legno e una specie di credenza con dei ripiani. L'ingresso della grande casa è sul lato del cortile: una porta si trova in cima ad una particolarissima scaletta in sasso - accanto un'altra porta conduce al piano superiore della costruzione più bassa di cui ho parlato prima - ma non salgo perché mi sembra decisamente pericolante, mentre più in basso un'altra porticina semiaperta conduce - questa sì - in una piccola stalla all'interno della quale sono ammassate assi in legno e si intravede un bel portico in sasso. Ritorno sul sentiero e procedo verso il centro del paese: le case, illuminate dal sole di questa bella giornata invernale, hanno un colore insolito.

Sulla destra, ecco un'altra sorpresa: una casa senza il tetto, normalmente ricoperta di erbacce e spine, oggi mi si mostra finalmente per come è nella realtà (o per come era): un piccolo balcone compare sulla facciata, mentre dietro ecco comparire la facciata di un'altra casa ancora parzialmente ricoperta di tegole rosse, sotto alle quali una porta è preceduta da un balcone più ampio rivolto verso il Monte delle Tre Croci. Dal sentiero parte una piccola stradina che sembra infilarsi sotto al balcone: andrei subito a vedere, ma desisto e proseguo nel mio giro. Attenzione però perché ci ritornerò alla fine.

Dove termina il grande balcone della casa, ecco che posso vedere dall'alto quello che probabilmente era un grosso capannone, una grande stalla senza più il tetto, anche questo mai visto prima: questo angolo di paese sembra essere il più recente e quello che associo agli ultimi anni di vita di Davide Bellomo.

Riprendo il mio cammino: davanti a me ora si vede chiaramente un bivio che mai prima avevo potuto immaginare esistesse. Mi concentro però sui ruderi delle case alla mia sinistra: due piccoli porticati in sasso che avevo notato già nelle mie precedenti escursioni, ma che ora vedo molto più chiaramente e accanto ad essi ecco un'altra strada! Una piccola stradina lastricata sale in mezzo alle case e decido di seguirla avventurandomi tra le macerie, dove riesco a vedere finalmente il retro delle case poste lungo il sentiero e a scoprire che tutte le finestre di queste povere case in pietra avevano delle grate a proteggerle. In alcuni punti il sentiero è ostruito da pietre, macerie e erbacce, ma aiutandomi con le mani eccomi arrivare ai piedi dell'Oratorio di San Bernardo: non l'ho mai visto da questa angolazione e riesco a notare la sacrestia in tutta la sua grandezza. Risalgo il piccolo muretto a secco costruito davanti all'Oratorio e mi porto davanti al suo ingresso per mettere dentro il naso e vedere che tutto sia ancora a posto, anche se la sorpresa più bella è stata vederlo ancora in piedi nonostante un altro inverno sulle spalle.

Mentre sono sulla porta dell'Oratorio intento a scrutarne l'interno, giusto il tempo di notare che è sparita la foto del santo che si trovava in un piccolo altarino laterale, poi si alza una folata di vento fortissimo che fa cadere qualche pietra dal tetto all'interno, con un suono sordo che rimbomba tra i muri della chiesa: non il massimo della vita in un paese abbandonato! Mi allontano per scattare qualche foto dell'Oratorio nella stagione invernale: oggi finalmente lo si può vedere per intero, senza alberi a coprirne parte della facciata e riesco perfino ad accorgermi che sulla punta del piccolo campanile a vela rimane ancora qualcosa di una croce ormai attorcigliata su sé stessa. Scatto una panoramica in modo da catturare l'Oratorio e il vicino cimitero, poi senza entrare a fare una visita alla tomba di Davide Bellomo ritorno sui miei passi e scendo sul sentiero verso la piazzetta di Reneuzzi.

Giunto nei pressi della casa dagli angoli arrotondati, proseguo dritto alla volta del rio Sopei, camminando in direzione del monte Antola e transitando sotto ad una rudimentale tettoia. Scatto ancora qualche immagine e, in generale, quello che subito balza agli occhi è che voltandosi alle spalle mentre si cammina verso le ultime case del paese, si può avere una percezione diversa di Reneuzzi, una visione d'insieme del paese che mai prima d'ora avevo avuto e che mi rende sempre più chiara l'idea di come questo paese fosse quando ancora era abitato. 

Passo accanto alla casa con un ampio balcone - quella che ho sempre chiamato "osteria", convinto che la fosse realmente - e proseguo oltre, fino a dove non mi ero mai spinto prima d'ora: oltre le ultime case, una piccola costruzione simile ad una capanna, poi un lungo spazio ordinato simile quasi ad un'altra piazzetta, oppure ad un campo da bocce. Oltre questo, però, non c'è null'altro e il paese può dirsi terminato. Ritorno così indietro e imbocco la stradina che scende sulla sinistra tra le case, nei pressi della casa col balcone.

Ero già stato qui ad agosto,  ma ora la minor presenza di vegetazione fa sì che tutto sia più chiaro: costeggio il muretto a secco che scende parallelo alla strada, fino a giungere ai piedi dell'altra casa dalla forma arrotondata, della quale fotografo l'interno. Un veloce scatto al portico in pietra sotto a cui si trova ancora qualche attrezzo dell'epoca e alla piccola scaletta che conduce all'ingresso della casa arrotondata, poi proseguo sul sentierino che ora è ben evidente, fino a giungere nei pressi della casa che già - ma molto a fatica - avevo visto quest'estate, quella con gli interni pitturati di rosso e blu. La casa è sventrata su di un lato, ma guardando all'interno ancora si distinguono le mensole incastonate nel muro e le pitture alle pareti. Non contento, seguo il sentierino che passa proprio sotto a questa casa e posso vederne la facciata, che ospita una crepa così profonda da far temere il crollo immediato, proprio sopra alla porta in legno di quella che probabilmente era la stalla.

Continuo a camminare sul sentiero ed ecco finalmente completato il giro di Reneuzzi: sbuco infatti nei pressi del bivio che avevo notato all'andata. Ora tutto è più chiaro, ho bene in testa quali fossero le strade del borgo ai tempi in cui ancora non era abbandonato. Ma non è finita, ho ancora una curiosità da soddisfare: la stradina che scende sotto al balcone. Ricordate?

Mi avvicino, ma non mi fido a scendere da questa parte: preferisco aggirare la casa dal retro e vedere se si può passare anche da quel lato. Con non poca fatica, aggrappandomi ad alcuni dei ruderi rimasti, scavalco un archetto in pietra e restando in equilibrio sulle macerie, giungo sul fianco opposto della casa, davanti ad un portone in legno socchiuso.

Lo spingo, si apre. Entro con la testa, per buttare un occhio. E' un portico, un passaggio, che mi condurrà probabilmente ai piedi della discesa che ho preferito non affrontare, quella che portava sotto al balcone. Studio un attimo la situazione: i muri laterali sono in pietra e sembrano ben tenuti, mentre il soffitto sembra fatto con una volta di mattoncini che appaiono ancora piuttosto saldi. Non starò qui sotto un'ora, ma vale la pena entrare, questa è una novità assoluta e totalmente inaspettata.

Entro e rimango a bocca aperta. Sotto al portico, a sinistra, una piccola porta aperta mi regala la vista di una splendida stalla in pietra ancora ben conservata, con un pilastro di sassi al centro e la volta ad arco: si possono distinguere le mangiatoie per gli animali e i canalini per i bisogni fisiologici. La luce del sole che filtra dal portico, entra nella stalla regalando una luce stranissima che merita qualche fotografia. Sul lato opposto, di fronte alla stalla, un'altra porta aperta e una stanza con le pareti imbiancate, piena di tegole ordinate e con un mobile simile a quelli dove si conservava il grano. Sono sempre più convinto che qui, sopra e sotto, visse Davide Bellomo: tutto appare più recente ed ordinato. Esco dal portico sul lato opposto ed eccomi effettivamente ai piedi della discesa che prima non avevo affrontato: c'è addirittura una scalinata. Poco più avanti, un pozzo per la raccolta dell'acqua, anch'esso mai visto prima. Provo a proseguire ulteriormente, ma ci sono troppi rovi e diventa impossibile. 

Devo fermarmi e tornare indietro: lascio così il portico chiudendomi il portone alle spalle e mi riporto sul sentiero, pronto per salutare Reneuzzi. Mi volto a guardare il paese per un'ultima volta, mentre nella mia mente si fa sempre più delineata la struttura originaria del villaggio. Mi incammino in discesa alla volta del rio e dei mulini, che raggiungo piuttosto in fretta e risalgo alla volta di Croso, dove mi attende la macchina. I cani non ci sono più, mentre il camino del bed & breakfast continua a fumare, ma per il resto il paese sembra immobile, la valle sembra immobile.

Non c'è nessun altro. Guardando dritto sopra all'imbocco del sentiero 242 scopro anche che si intravedono i ruderi del paese fantasma di Casoni, solitamente invisibile perché nascosto. Casoni, Ferrazza e Reneuzzi, sono tutti davanti a me, ora riesco bene a vedere il loro posizionamento rispetto al resto della valle. Pagherei di tasca mia per tornare indietro nel tempo e vivere una giornata qualunque in questo angolo di appennino ai piedi dell'Antola.

A un passo dalla vetta
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