LA LUNGA STRADA VERSO ROVAIOLO VECCHIO
Alla scoperta di un paese abbandonato negli anni Sessanta a causa della minaccia di una frana
PAESE FANTASMA: Rovaiolo Vecchio
RAGGIUNGIBILE DA: Passo del Brallo
LUNGHEZZA DEL PERCORSO: circa 26 km (anello completo); oltre 11 km solo Brallo-Rovaiolo V.
TEMPO DI PERCORRENZA: circa 7 h. (anello completo); oltre 3 ore solo Brallo-Rovaiolo V.
SEGNAVIA: bianco-rosso "paese fantasma"; bianco-rosso 154
La mattina è tutto tranne che fresca. Il sole, più che primaverile, sembra quasi estivo. Quando arriviamo al Passo del Brallo, cerchiamo la partenza dell’itinerario leggendo attentamente il foglietto che mi sono stampato raccogliendo qua e là su internet le indicazioni del percorso.
Ecco, finalmente le segnalazioni. Sono vicine all’asfalto, non distante dal cartello che indica l’arrivo a Bralello.
Ci incamminiamo, ma dopo pochi metri già le strade si dividono e non si capisce bene da che parte si debba andare. In compenso, siamo fortunati: un ragazzo sta scendendo da uno dei due sentierini davanti a noi e ci potrà di certo dare una mano.
“Scusa, ma il sentiero è quello alto o quello basso?”
“Dove dovete andare?”
In effetti, di segnalazioni ce ne sono tante all’imbocco. 101, Via Longa, Rifugio Nassano, Paese Fantasma…
“Andiamo al paese fantasma”
“Voi siete matti!”
“Ma no perché?”
“Il sentiero è quello alto, lì sopra uscite sull’asfalto e arrivate a Bocco. Ma voi siete matti!”
Lo salutiamo, senza aver capito perché siamo matti, anche se una mezza idea ce l’abbiamo. Qualche sospetto sulla lunghezza dell’itinerario a dirla tutta ci viene: sul foglio che mi sono stampato, si parla di tante cose ma non della lunghezza in chilometri del percorso.
Arriviamo a Bocco e nei pressi della madonnina posta ad inizio paese, seguiamo le segnalazioni che si addentrano tra le case, attraversando parte del paese, per poi prendere a salire fino alla volta di una bella fontana in sasso che domina il borgo dall’alto. Qui prendiamo il sentiero basso, evitando quello che sale alla volta del crinale che da Cima Colletta conduce al Lesima.
Il sentiero è piacevole e con splendide viste su Colleri e su una buona fetta della vallata dell’Avagnone, scende dolcemente per poi attraversare ampi prati, regalando panorami imperdibili della palla del Lesima, dritta davanti a noi, dietro a una parete rocciosa.
Costeggiati alcuni terreni coltivati, la strada prende a scendere più decisamente, transitando all’interno di una piccola pineta, fino ad immettersi in una più ampia carrareccia proveniente dal basso, che conduce nei pressi di una stalla. Oltrepassata la stalla, che ci lasciamo sulla destra, il sentiero si fa più stretto ed invaso dalla vegetazione e, regalando bei panorami sul tratto di vallata che dal Penice e dal Brallo arriva a Colleri e Collistano, conduce finalmente in vista dei tetti delle case di Corbesassi, precedute dal cimitero.
E’ proprio nei pressi del cimitero che si incontrano le prime segnalazioni con il numero 154, che seguiremo ora per un lungo tratto. Dal cimitero, ci si immette sull’asfalto nei pressi di un lavatoio in pietra e si percorrono alcune decine di metri in direzione del paese, dove alcuni vecchietti stanno parlando sul lato della strada. Li salutiamo da lontano e seguiamo le segnalazioni che scendono invece su di una stradina che pare addentrarsi tra le case, giungendo, poco dopo, in vista del campanile della bella chiesa di Corbesassi.
Scatto una foto del campanile con il radar del Lesima sullo sfondo, quindi arriviamo davanti alla chiesa, dove su un cancello è scritto “Piazza Mesdravilla – Sede parlamento”, strappandoci una risata.
Proseguiamo oltre la chiesa su di una viuzza che scende tra le case, poco segnalata, che conduce sull’asfalto a fondo paese, dove continuiamo in direzione del successivo villaggio, quello di Ponti.
Una bella cappella votiva sulla sinistra della strada, precede l’arrivo a Ponti: in vista delle prime case della frazione, curviamo decisamente a sinistra, mantenendoci sempre sull’asfalto e seguiamo le indicazioni con il numero 154 che ora corrono in direzione del borgo di Corbesassi dove poco fa siamo passati.
L’asfalto costeggia una bella fontana e i resti di alcune ghiacciaie lignee per la conservazione del ghiaccio, quindi termina per lasciare spazio allo sterrato e supera un rio, transitando nei pressi dell’antico mulino di Ponti, ora ristrutturato ed abitato, al quale dedichiamo una piccola deviazione.
La strada è ora una bella carrareccia che scende tranquilla verso il fondovalle. Superati i ruderi di alcuni casoni in pietra e guadato un rio ricco d’acqua che la attraversa, si continua a scendere tra i maggiociondoli con belle viste sul radar del Lesima, costeggiando alcuni muretti a secco.
La discesa non è affatto breve, ma tutto sommato poco faticosa e quando si incontra un’altra costruzione in parte inghiottita dal bosco ecco comparire di fronte a noi, sul versante opposto della valle, i tetti della frazione di Lama, che sarà la nostra prossima tappa.
La carrareccia si fa ripida e scende decisamente alla volta del torrente Avagnone, costeggiando una casa costruita proprio sulla sua sponda. Sotto alla casa, ci troviamo davanti l’Avagnone, bello carico d’acqua, da attraversare. L’acqua è troppa e i sassi che erano stati posizionati per guadarlo sono sommersi: non ci sono alternative al bagnarsi. Con gli scarponi a mollo nell’acqua gelida, che visto il caldo fa anche piacere, attraversiamo il letto del torrente portandoci sulla sponda opposta, dove il sentiero risale alla volta di Lama, regalando alle nostre spalle una suggestiva veduta di una splendida cascata leggermente più a valle del punto dove abbiamo guadato l’Avagnone.
Dopo essere risaliti per un bel pezzo, quando siamo prossimi alle prime case della frazione di Lama, le segnalazioni si dirigono improvvisamente sulla destra, alla volta di una piccola mulattiera appena accennata che corre tra due muretti a secco invasi dalla vegetazione. La seguiamo ma, poco dopo, la stradina sbuca in un ampio prato dove le segnalazioni, complice anche la folta vegetazione del periodo, si perdono.
Probabilmente, occorreva mantenersi piuttosto alti e tagliare il prato orizzontalmente. Noi, sbagliando, ci teniamo inizialmente troppo bassi, poi risaliamo ma non abbastanza e tagliamo orizzontalmente alcuni ampi prati in mezzo all’erba alta, coprendo così la distanza che separa Lama da Rovaiolo, il paese successivo, rispetto al quale ci siamo portati sotto attraversando una zona costellata da un’infinità di imponenti muri a secco.
Non nego che qui, un po’ di sconforto sia sopraggiunto. Con i piedi ancora inzuppati dall’acqua dell’Avagnone, camminare senza una meta in mezzo ad un terreno con l’erba alta quasi quanto te, senza riuscire ad intravedere la minima segnalazione, è abbastanza frustrante. Soprattutto se pensi che, dopo tutta quella strada, hai perso il sentiero quando sei arrivato a pochi chilometri dalla tua destinazione. Eppure Rovaiolo Vecchio è là davanti, sull’altra sponda del torrente, lo vediamo.
Cerchiamo di arrangiarci con un po’ di orientamento base e ci dirigiamo verso una vecchia costruzione al centro di un campo: fortunatamente, nei pressi della casa, parte uno stretto sentierino che si dirige in discesa. Lo seguiamo ed eccoci sbucare in una più ampia carrareccia, nei pressi di un ponte sul torrente Avagnone: finalmente, siamo sulla strada per Rovaiolo Vecchio.
Attraversato il torrente, del quale ammiriamo le belle cascate, saliamo attraverso alcuni tornanti sulla sponda opposta, poi la carrareccia torna a correre in direzione del fondovalle e compaiono finalmente, davanti a noi, i ruderi del borgo abbandonato.
Il caldo ci ha distrutto. Ci fermiamo sotto ad un albero, senza nemmeno guardare il paese. Via gli scarponi e via le calze, che grondano ancora l’acqua dell’Avagnone. Una golata d’acqua fresca, poi mangiamo qualcosa e restiamo qui, seduti sull’erba, ad ammirare la valle con le frazioni di Rovaiolo e Lama davanti a noi, mentre lasciamo sbollire la temperatura.
Quando ci alziamo, ci accorgiamo subito che la casa alle nostre spalle ha la parabola sul tetto. Per un attimo penso di aver sbagliato posto, ma effettivamente, curata com’è, sembra davvero ospitare ancora qualcuno, per pochi giorni all’anno. Ma è l’unica, il resto del paese è vuoto e invaso dal silenzio, anche se una particolarità di Rovaiolo è quella di trovarsi in una bella posizione, su di un pianoro ai piedi del Monte Lesima, con gli altri villaggi della valle di fronte, che lo rendono un po’ meno triste rispetto a molti altri luoghi abbandonati.
E pensare che il paese è stato abbandonato a causa di una frana che minacciava di staccarsi dalla montagna. Probabilmente, oggi sarebbe ancora abitato come tanti altri piccoli nuclei della valle, anche perché non è assolutamente inaccessibile, anzi. Alcuni terreni, nei dintorni delle case, sono ancora coltivati e conferiscono un aspetto più solare al villaggio, anche se la vegetazione ha già avvolto parte delle costruzioni, inghiottendole nel verde.
Le case, però, riflettono il momento fugace dell’abbandono. Con le porte semiaperte, sembra che gli abitanti se ne siano appena andati, anche se quando si entra, il disordine che si vede nelle stanze lascia intuire un abbandono piuttosto lontano nel tempo: è datato 1960, l’anno in cui il paese fu fatto sgomberare, ma come si può intuire, qui qualcuno ha continuato a tornare e forse ad utilizzare le case come punto di appoggio per il lavoro nei campi vicini.
Passiamo davanti alla prima casa del paese, con la porta semiaperta, alla quale però non si può più accedere perché è crollata parte della scalinata in pietra che permetteva di raggiungerla. Proseguendo oltre, sulla sinistra del sentiero, una costruzione che ai piani bassi ospita due stalle, ora ridotte a vere e proprie cantine, con all’interno mobili, lettiere, tavoli, attrezzi, ceste e quant’altro.
Una porta aperta, a cui si arriva da una corta scalinata, lascia intravedere un piccolo corridoio dove è appeso uno specchio. Mi avvicino: su di uno scalino, un’agenda con le pagine ingiallite che però scopro essere, soltanto, del 2008. Entro in casa: nel corridoio, lo specchio appeso al muro, davanti al quale mi scatto una foto, poi continuo alla volta della camera da letto, dove si vede ancora un letto matrimoniale, con i materassi ormai bucati, un comò con i cassetti aperti e i comodini. A terra, bottiglie di birra e vino. Nella casa si intravedono altre due stanze: una piccola camera da letto e una cucina, che ospita ancora una credenza, un tavolo con le sedie e tante bottiglie e posacenere che lasciano intuire che di qui, spesso, passi gente a bivaccare. Non certamente il posto ideale, penso.
Ma Rovaiolo Vecchio non è solo questo: stalle ancora perfettamente conservate, con la legna ancora accatastata all’interno, caratteristiche case in pietra con i tetti ricoperti di ciappe, terrazzi, balconi. Poco distante, un’altra abitazione alla quale si accede da una scaletta, regala alla vista un antico forno in pietra proprio davanti all’ingresso e, dentro, una stanza dove tutto è finito sottosopra.
Alcune case sono inaccessibili, alcune sono piuttosto isolate e la fitta vegetazione non permette di raggiungerle, altre sono invece molto prossime al crollo e forse non è il caso di avvicinarsi. Sul fondo del paese, un lavatoio dove qualcuno ha lasciato un bicchiere per chi dovesse avere sete, quasi come in un paese ancora vivo.
Ci lasciamo Rovaiolo Vecchio alle spalle, non dopo aver scattato qualche bella foto tra i vicoli del paese. Un altro paese fantasma, un altro paese totalmente diverso da tutti gli altri uniti dal triste destino dell’abbandono. Mentre camminiamo, le calze ancora zuppe d’acqua ci fanno scappare la voglia di dover attraversare nuovamente l’Avagnone: decidiamo di tornare per l’asfalto fino al Passo del Brallo.
Raggiungiamo così la SP186, nel tratto tra Rovaiolo Nuovo e Pianellette e iniziamo la risalita verso il valico del Brallo, senza avere minimamente idea di quello che ci aspetta. Eh si, perché decidendo di non tornare per il sentiero segnalato ci precludiamo anche la possibilità di trovare delle fontane e, nel frattempo, abbiamo terminato l’acqua. Superiamo Rovaiolo Nuovo, Lama e Pratolungo, dove per orgoglio decidiamo di non entrare nel bar convinti di poter ancora trovare qualche fontana lungo la strada. Invece niente. Siamo quasi disidratati quando, finalmente, arriviamo a Colleri e vediamo l’insegna di un bar in lontananza: entriamo e facciamo una scorta d’acqua manco fossimo nel deserto, tanto fontane non ce ne sono.
Ci scoliamo una bottiglia al volo su di una panchina sul lato della strada, davanti alla chiesa di Colleri. Poi ripartiamo, alla volta di Feligara, oltrepassato il quale, la stanchezza inizia a farla da padrona. Non so quanta strada avremo fatto oggi, ma mi riservo di guardare il gps alla fine dell’escursione. Dopo Feligara mi si fermano le gambe e non so con quale forza ancora riesco a camminare. Trascino i piedi, il Brallo sembra lontanissimo e sono ormai passate le sette di sera.
Il panorama della valle inizia a riempirsi di ombre e Rovaiolo Vecchio è ormai lontanissimo.
Quando raggiungiamo il Brallo, non ho nemmeno la forza di essere felice. Passiamo nella piazza e prendiamo subito in salita verso Bralello, dove abbiamo parcheggiato l’auto.
In un cortile, accanto alla strada, un ragazzo inginocchiato sta posando delle piastrelle su di un cortiletto esterno. Sente il nostro passo e si volta: è il ragazzo che questa mattina ci aveva indicato la strada, dandoci dei matti. Scuote la testa e si gira senza salutarci. Forse avrà visto la nostra faccia segnata dalla fatica, chi lo sa. Mi scappa da ridere, però.
Guardo il gps: 27 chilometri. Credo che per uno o due giorni, possano proprio bastare: ecco perché siamo matti!