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PIANI DI CELIO

Un minuscolo villaggio, ormai in stato di semiabbandono, affacciato sul Borbera

PAESE FANTASMA: Piani di Celio (mt. 475 circa)

RAGGIUNGIBILE DA: Rocchetta Ligure (mt. 390)

TEMPO DI PERCORRENZA: 2 h (solo andata) - 6 h (intero anello descritto nel racconto)

SEGNAVIA: nessuno

 

Da tempo Ilaria mi parlava dei Piani di Celio, minuscolo agglomerato di case da cui proveniva una sua nonna: spesso cercava di indicarmeli quando passavamo sulla provinciale della val Borbera, nel tratto tra Albera Ligure e Cabella. Prima o poi ci andiamo, ci siamo sempre detti, ma l'occasione non c'è mai stata, fino alla scorsa primavera, quando approfittando di una giornata dal tempo piuttosto incerto, abbiamo deciso di provare a concludere un anello attorno alle montagne di casa.

Portiamo la macchina a Rocchetta Ligure e parcheggiamo dinnanzi a Palazzo Spinola, lungo la ripida e dissestata via che attraversa il paese. Ci prepariamo e ci incamminiamo per un ripido e stretto viottolo, che sale tra le case passando non distante dalla chiesa: più saliamo lungo l'asfalto, più possiamo ammirare, voltandoci, il campanile di Rocchetta stagliarsi con le montagne di puddinga sullo sfondo. 

Il tempo, per ora, sembra tenere e anche un po' di sole fa capolino tra le nubi. Ci dirigiamo verso il cimitero di Rocchetta, con la vista che ora si fa più ampia e arriva fino alle case di Cantalupo Ligure, quindi imbocchiamo la sterrata che sale accanto al cimitero e che, con una breve rampa, ci conduce in un punto da cui la vista spazia anche sul lato opposto di valle, in direzione di Albera Ligure. La sterrata, non segnalata ma assolutamente evidente, spiana e procede lungo la linea di crinale in direzione della testata della valle, regalando bei panorami sulla val Sisola con assoluta protagonista la dorsale di conglomerato che dal Monte Poggio arriva fino oltre la Croce degli Alpini. Sul lato opposto, ecco comparire il Giarolo con le sue antenne, sormontato da minacciose nuvole nere. 

Una nuova salita preannuncia un tratto pianeggiante della carrareccia, che costeggia i ruderi di una costruzione quindi sale ripida alla volta di una ulteriore casa: ignorata la deviazione che conduce nei terreni antistanti questa costruzione, ci manteniamo sulla sterrata principale, che ora costeggia una recinzione con filo elettrico e regala belle viste sul Cravasana, sul Poggio e sul monte che ospita il castello di Roccaforte Ligure. Dopo un breve tratto, torniamo ad affacciarci sul versante opposto di valle, con le frazioni di Figino e Vigo e le prime viste sul Monte Ebro, quindi, percorrendo il crinale, incontriamo un sentiero proveniente dal lato della val Sisola, che si immette nella nostra sterrata: si tratta del percorso noto come "anello della via Crosa", del quale troviamo anche le segnalazioni.

Continuiamo a camminare sulla nostra carrareccia, con belle viste su Borassi e sul Bric Castellazzo, quindi il sentiero prende leggermente a salire, conducendo a un altro bivio, al quale continuiamo a seguire le indicazioni dell'anello della Crosa, spostandoci definitivamente sul versante della val Borbera. Camminiamo per alcune centinaia di metri sul sentiero di crinale, quindi, in corrispondenza di un evidente bivio (non segnalato) verso il basso, lo abbandoniamo: dovrebbe essere la vecchia strada per i Piani di Celio.

La seguiamo in ripida discesa nel primo tratto, quindi il percorso si fa più pianeggiante e con alcuni saliscendi ci conduce ad un punto in cui il percorso pare interrompersi. Eppure, guardando tra gli alberi, vediamo sotto di noi - oltre un ripido crinale di montagna - i tetti di alcune case, che dovrebbero essere quelli dei Piani di Celio.

Una traccia ancora piuttosto evidente sembra continuare in ripida discesa e decidiamo di seguirla: peccato che, dopo poco, la strada si trasformi in una specie di rio e giunga ad un punto in cui termini definitivamente. Sembra che una frana abbia cancellato un tratto di strada, ma una frana piuttosto datata visto che nel frattempo sono già ricresciuti gli alberi: e quanti alberi! Il tratto è completamente invaso da rovi, spine e vegetazione infestante, tuttavia decidiamo di provare a superarlo.

Ci sono dei punti in cui passare diventa quasi impossibile e ormai che siamo in mezzo, non possiamo tirarci indietro e decidiamo di proseguire, nonostante il disagio evidente. In questo tratto, comunque, si riescono ancora a notare le vecchie pietre che componevano il muretto a secco che accompagnava questa vecchia strada, ora distrutta. 

Pensavamo di non uscire più da quella specie di spinaio, ma il tratto di sentiero invaso, seppur devastato e quasi impossibile da superare, è in realtà piuttosto breve e la strada, come per magia, riprende oltrepassata la frana. Riprende e conduce in un enorme prato al termine del quale intravediamo un tetto rosso, lo stesso che prima stavamo vedendo in lontananza: è il segnale che ormai ci siamo.

Attraversiamo il prato, giungendo all'intersezione con una carrareccia che sopraggiunge dall'alto ed eccoci tra le case. Una di esse appare in buono stato e pare ancora occasionalmente utilizzata. Tutto intorno, però, è solo abbandono, che si percepisce sia nei ruderi delle vecchie costruzioni in pietra, alcune senza più il tetto ma sulle quali ancora si possono riconoscere le nicchie che ospitavano le madonnine, sia nelle case più recenti ma che, di fatto, paiono aver seguito la stessa sorte. Scendiamo la ripida via, deviando poi a sinistra per raggiungere un piccolo cortile tra due case: una, lunga e ancora in pietra, ha i vetri delle finestre rotti, mentre l'altra sembra ancora discretamente tenuta, seppure probabilmente, nessuno ci passi da un po' di tempo. Ciò nonostante, la situazione della località è ancora tutto sommato buona e a ciò sicuramente contribuiscono i terreni nei dintorni delle case sfalciati ancora di fresco. 

Ci sediamo sul tavolo con le panche al centro del cortile e mangiamo qualcosa, ma piuttosto in fretta perché il tempo sembra che stia cambiando piuttosto rapidamente.

Così torniamo sui nostri passi, facendo in tempo a scoprire, ancora, un vecchio forno all'ingresso di una casa, poi scendiamo oltre le case, in direzione del Borbera, sul cui letto conduce una poco evidente stradina. L'idea sarebbe quella di tornare a Rocchetta camminando sul letto del fiume, ma non abbiamo fatto i conti con un Borbera un po' troppo "carico" e di conseguenza non semplice da guadare sulle pietre.

Così, decidiamo di dirigerci verso monte, alla ricerca di qualche punto dove attraversare possa essere più semplice. Non trovandolo, dal greto del fiume saliamo attraversando un boschetto pieno di rovi fino a ricongiungerci con la sterrata che per iPiani di Celio e, da qui, in ripida salita, raggiungiamo la frazione di Celio. Ci mettiamo il cuore in pace e ci prepariamo a un lungo ritorno sull'asfalto: Celio, Cabella, Albera e, infine, Rocchetta. Ogni tanto è bello camminare anche sull'asfalto, che di solito si percorre sempre veloce con la macchina senza guardare quello che si ha attorno. 

Arriviamo all'auto, parcheggiata a Rocchetta nei pressi di Palazzo Spinola, pochi istanti prima che la pioggia che era nell'aria, inizi a cadere: per una volta, ci è andata bene!

A un passo dalla vetta
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