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SAN MARTINO DI LICCIORNO E IL VOLTO MEGALITICO DI ZOLEZZI

Alla scoperta di un caratteristico angolo dell'alta valle del torrente Penna

PARTENZA: Zolezzi (mt. 506)

ARRIVO: San Martino di Licciorno (mt. 510 circa)

LUNGHEZZA ITINERARIO: circa 7 km (a+r)

TEMPO DI PERCORRENZA: circa 2 h. 20 min (a+r)

SEGNAVIA: due linee verticali rosse (paline del parco dell'Aveto)

 

Vedere una foto e rimanere così colpiti da volere, necessariamente, andare a vedere con i propri occhi: è quello che mi è accaduto quando, per la prima volta, vidi un'immagine ritraente i ruderi di una chiesa nel mezzo di un bosco. Era la chiesa di San Martino di Licciorno e, pur essendo piuttosto lontana dalle mie zone, mi ero ripromesso che prima o poi l'avrei visitata.

L'occasione si è presentata nelle scorse settimane, con la scusa di un weekend in val d'Aveto e di una giornata piovosa che ci ha tenuti lontano dalle escursioni sui monti.

Proviamo ad approfittarne e andiamo a Zolezzi, ci siamo detti, visto che nei giorni precedenti avevamo scoperto che, partendo da questo sconosciuto villaggio, si sarebbe potuta ammirare un'altra suggestiva creazione, il "volto megalitico di Zolezzi".

E così, in barba alla pioggia, raggiungiamo in auto da Santo Stefano d'Aveto Borzonasca, centro della valle Sturla davvero poco piacevole, per lo meno a prima vista. Tendo sempre a trovare qualcosa di buono in tutti i luoghi che visito, ma a Borzonasca proprio non mi è successo: sarà per la strada lunga e piena di curve, eppure ci sono abituato.

A Borzonasca troviamo il bivio per Zolezzi e lo prendiamo: chi ha percorso questa strada prima di noi, l'ha definita "7 km d'inferno", quindi siamo pronti a ciò che ci aspetta. La strada è lunga, quasi infinita: stretta e piena di tornanti, con una fastidiosa nebbia che riduce ancora di più la visibilità non lasciandoti capire dove diavolo stai andando a finire.

La stessa nebbia che, poco prima di giungere tra le case di Zolezzi, ci impedisce di vedere il volto megalitico per il quale siamo venuti fin qui: la scultura è là in alto, dietro un fitto strato di nebbia che ce la lascia in parte vedere e in parte immaginare. Ci toccherà provare al ritorno, se saremo più fortunati. 

E allora, anche se piove, dirigiamoci alla ricerca dei ruderi di San Martino di Licciorno: dopo la fatica fatta per arrivare qui, dobbiamo assolutamente andarci perché io non ci tornerò una seconda volta. Nè a Borzonasca né a Zolezzi.

Parcheggiamo l'auto dove l'asfalto finisce, indossiamo gli scarponi e partiamo, un po' allo sbaraglio, senza zaino né altro, con la sola macchina fotografica in mano. Scatto qualche foto delle case di Zolezzi e delle loro caratteristiche pietre sui tetti, mentre ci incamminiamo sulla strada ora sterrata, che conduce verso le poche successive case di Villa Zolezzi: di fronte a noi, altri piccoli paesi, dovrebbe trattarsi di Zanoni e Prato Sopralacroce.

La sterrata si trasforma in sentiero e nei pressi di una vasca dell'acqua compaiono i segnavia da seguire: due linee rosse verticali, ribadite poco oltre da una palina del parco dell'Aveto, che segna il percorso completo da Borzonasca a Vallepiana, passando per l'Abbazia di Borzone e i ruderi della chiesa di San Martino di Licciorno. Il sentiero scende dapprima ripido e difficoltoso, poi spiana, divenendo quasi piacevole. 

Camminando, incontriamo numerosi bivi, che originano due percorsi paralleli: uno basso, segnato, e uno alto, non segnato. Prendiamo a seguire quello basso, ma già in corrispondenza del primo rio, poco più avanti, vediamo che la passerella realizzata per superarlo, oltre a parte del sentiero, sono franate.

Che fare? Proviamo il sentiero alto, anche se non è segnato, pare correre parallelo a questo. Tornati sui nostri passi, così, prendiamo la strada alta e non segnata, che supera agevolmente il rio. Sarà una costante di tutto il percorso: il sentiero segnato, quasi sempre quello basso - tranne in un punto dove si sposta sopra all'altro - è impraticabile, sporco e franato. Il percorso non segnato, invece, molto simile alla vecchia strada, è piacevole e non presenta difficoltà alcuna, tanto che lo seguiremo quasi fino alla chiesa.

L'ambiente è caratteristico, con questi imponenti e fitti boschi attraversati dalla nebbia e da una sottile pioggerella. Il percorso, pressoché pianeggiante, supera alcuni rii che scendono formando splendide cascatelle e in tutta questa umidità, per poco non inciampiamo in una salamandra ferma lungo il sentiero. Scattiamo alcune foto delle cascate e del bosco, ma tutta la nostra curiosità è per la chiesa: sentiamo che manca poco. In effetti, giungiamo nei pressi di una palina del parco che la indica davvero a pochi minuti: questa volta seguiamo il percorso segnalato che procede in leggera salita e, in breve, ci conduce nei pressi di una improvvisa curva del sentiero, alle spalle della quale, tra gli alberi, vediamo un'ombra decisamente più importante.

Quando ci si arriva, si rimane a bocca aperta. Una chiesa in mezzo al bosco, un campanile che cerca di confondersi con i tronchi degli alberi. Inizio a scattare foto e, proprio in questo momento, comincia a diluviare, come un segno del destino. La pioggia mi impedisce di dedicare un po' di tempo alle foto, così ne scatto solo alcune piuttosto frettolose, cercando di coprire tutte le angolazioni possibili. Intanto, Ilaria si dilunga leggendo la storia della chiesa riportata nella vicina bacheca.

E' una delle più antiche chiese dell'alta val Penna, probabilmente diretta discendenza dell'attività dei monaci benedettini della vicina abbazia di Borzone, sostituita, dal 1491, come chiesa parrocchiale dalla chiesa di N.S. Assunta di Prato Sopralacroce ed utilizzata sporadicamente solo in occasione di alcune festività. L'abbandono risale al XIX secolo.

Nelle vicinanze, sembra desumibile la presenza di un piccolo centro abitato che si era sviluppato attorno alle attività della chiesa, come anche di un cimitero, al quale è legata una leggenda, riportata anche nel pannello informativo (e che non vi svelerò!).

Scattiamo ancora qualche foto, ma purtroppo la pioggia battente sembra non darci tregua, imponendoci di rientrare piuttosto velocemente. Così, nostro malgrado, siamo costretti a salutare le rovine della chiesa e a rimetterci sul sentiero, lo stesso dell'andata, che percorriamo a ritroso fino a giungere tra le case di Zolezzi, dove nel frattempo ha smesso di piovere e la nebbia pare essersi leggermente alzata. Curiosiamo in una fontanella con madonnina non distante dall'oratorio di Zolezzi, quindi ci togliamo gli scarponi e ci rimettiamo in macchina, convinti che possa essere il momento buono per vedere il volto megalitico. Lo raggiungiamo (si trova qualche km prima di Zolezzi ed è segnalato da un cartello, è visibile dalla strada) e scendiamo dalla macchina: ora sì, che si intuisce bene.

Alto 7 metri e largo 4, è la più grande scultura rupestre paleolitica d'Europa. E' stato scoperto nel 1965 durante i sopralluoghi per la costruzione della strada ed è stato immediatamente ricondotto al volto di Cristo, a causa della presenza della vicina Abbazia di Borzone, interpretato come voto dei monaci per la cristianizzazione della valle. Accanto a questa interpretazione religiosa, ve ne sono altre a carattere più marcatamente scientifico, che riconducono il volto - umano - all'epoca preistorica. Ancora oggi, comunque, non si hanno certezze circa le origini del volto, che rappresenta un enigma tuttora irrisolto.

La strada era infernale, il tempo pure, ma venire fino a qui ne è valsa la pena.

 

 

A un passo dalla vetta
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