SUA MAESTA' L'ALFEO
Dalle Capanne di Carrega all'Alfeo, passando per Pecoraia, Zovallo, Passo Maddalena e Ronconovo
PARTENZA: Capanne di Carrega (mt. 1367)
ARRIVO: Monte Alfeo (mt. 1651)
TAPPE INTERMEDIE: Monte Pecoraia (mt. 1384), Monte Zovallo, Passo Maddalena, Monte Ronconovo (mt. 1500), Il Cappello (mt. 1377)
LUNGHEZZA DEL PERCORSO (A/R): circa 18 km
TEMPO DI PERCORRENZA (A/R): oltre 6 ore
SEGNAVIA: bianco-rosso 200; bianco-rosso 119
L’Alfeo è una montagna che ti rimane dentro. Ci sono stato per la prima volta esattamente dieci anni fa e mi ha subito colpito, vuoi per la sua imponenza, vuoi per la fatica che serve per raggiungerla: ricordo ancora che era il 20 di agosto e là in cima trovammo nebbia, vento e pioggia ad accoglierci. Un mondo a parte, praticamente.
Da allora, ci sono sempre tornato più o meno a cadenze regolari e così, dopo qualche anno di assenza, quest’anno non ho potuto mancare l’appuntamento. Tanti sono gli itinerari che permettono di raggiungerne la vetta: oggi ne ripercorriamo uno dei più duri, anzi, forse proprio il più duro di tutti, quello con partenza dalle Capanne di Carrega.
Raggiungiamo in auto le Capanne di Carrega, il valico tra la val Borbera e la val Brugneto e parcheggiamo esattamente davanti all’omonimo agriturismo. La giornata è piacevole, il cielo azzurro come raramente capita di trovare, ultimamente. Indossati zaino e scarponi, racchette in mano, ci avviamo sul sentiero che parte sul lato dell’agriturismo, marchiato con il numero 200, camminando in direzione del Monte Carmo, del quale vediamo la piramide proprio davanti a noi: non sarà però la nostra meta odierna.
Saliamo sulla mulattiera evitando il fango che ancora la pervade, camminando sui bordi per evitare di sporcarci già all’inizio del nostro giro. Non appena gli alberi si fanno un po’ più radi, ecco spuntare là in fondo, dietro al lungo crinale che dovremo percorrere, la vetta dell’Alfeo: sembra così distante, quasi irraggiungibile! Eppure, tra qualche ora, saremo là sopra e nonostante la fatica, ci sembrerà che il tempo sia volato.
Arriviamo ai piedi della più ripida salita del Monte Carmo, nei pressi di alcune vasche dell’acqua dove alcune caprette e alcuni cavalli si stanno abbeverando e prendiamo il piccolo sentierino che scende sulla destra, marchiato con il doppio triangolo giallo. Attraversiamo un piccolo bosco, poi si entra nei prati, dove le forti precipitazioni di quest’anno hanno fatto crescere un’erba così alta che quasi scompare il sentiero, e raggiungiamo con una veloce traversata il crinale al di sotto del Monte Carmo, del quale possiamo ammirare il roccioso versante alle nostre spalle.
Il crinale segna lo spartiacque tra la val Boreca, alla nostra sinistra, e la val Terenzone, alla nostra destra e qui si incontrano le segnalazioni bianco-rosse con il numero 119, il sentiero che ci condurrà fino in vetta all’Alfeo. Una bella vista sul Monte Lesima e sui villaggi di Artana e Suzzi, poi il sentierino, appena accennato, si sposta sul lato della val Terenzone e scende dapprima piuttosto decisamente, poi in maniera meno ripida, regalando splendide viste sul borgo di Alpe di Gorreto.
Il lungo crinale, alternando tratti boscosi ad altri esposti alla luce del sole, taglia lateralmente il versante dei monti Pecoraia e Zovallo, mantenendosi principalmente sul lato della val Terenzone: detto di Alpe di Gorreto, praticamente sempre visibile, una volta raggiunto il monte Zovallo ecco comparire, di fronte ad Alpe, l’altro caratteristico borgo della val Terenzone, Varni, costruito lungo un pendio così ripido che, visto da qui, sembra quasi franare sul fondovalle, con le case e l’appuntito campanile aggrappati al versante della montagna. Tra Alpe e Varni, in lontananza, ecco Fontanarossa, in parte nascosto dalla foschia.
Il vento spazza il cielo, regalandoci una giornata particolarmente tersa e meno male, aggiungerei, perché senza questa brezza oggi farebbe decisamente caldo. Il sentiero, sempre ben segnalato, è piuttosto evidente ed impossibile da perdere, anche se la vegetazione è aumentata a dismisura e lo nasconde in alcuni punti. Nonostante la stagione avanzata (metà luglio, ndr), si vede ancora qualche giglio di San Giovanni, con i colori leggermente sbiaditi.
A mano a mano che si avanza sul sentiero, Alpe scompare gradualmente dietro ad un versante boscato, mentre Varni si mostra in tutto il suo splendore: superato un ultimo tratto all’interno di un bosco di faggio, si incrocia una strada forestale presumibilmente segnata da poco (due anni fa non mi pare esserci stata) che scende verso Alpe, ma noi proseguiamo in salita, immettendoci nella più ampia carrareccia che, in pochi minuti, ci porta sull’asfalto in corrispondenza del valico di Passo Maddalena, dove transita la sterrata che collega Bertone a Suzzi.
Ci voltiamo alle spalle: le Capanne di Carrega sono già lontanissime, se ne intravede appena il tetto. Abbiamo già fatto tanta strada, ma saremo appena a metà della nostra escursione!
Qualche metro sulla sterrata in direzione di Bertone, poi ecco le segnalazioni: Alfeo 1 h. 45 min.!
Imbocchiamo la traccia di sentiero che sale sulla sinistra e che percorre il crinale che, con splendide viste su Fontanarossa e sulla val Terenzone, conduce verso la cima del Monte Busasca: qui il cammino è fuori dal bosco, sotto a un bel cielo azzurro, assolutamente piacevole e anche sul lato della val Boreca, la vegetazione si fa meno fitta permettendo di scorgere in lontananza il lungo crinale che dal Cavalmurone, passando per il Legnà, conduce fino al Monte Carmo. Ai piedi di questo lungo crinale, le frazioni di Bogli e Artana, separate solo dalla Cascina del Bucalon, meglio nota come Cascina Borgonovo, di cui abbiamo parlato lo scorso anno percorrendo “il giro del postino”.
Giunti ai piedi del Busasca, non ne raggiungiamo la cima ma deviamo verso sinistra su di una traccia di sentiero appena visibile, ma sempre marchiata con il numero 119, che conduce al vicino Monte Ronconovo, da cui, finalmente, fa la propria comparsa davanti a noi in tutta la sua imponenza la piramide dell’Alfeo: credo che questo sia uno dei punti panoramici migliori dell’intero itinerario.
Zaini a terra, ci fermiamo per una breve sosta che, vista l’ora, si trasforma poi nel nostro pranzo. La sensazione di pace che si respira qui sopra, lontano da tutto, è solo leggermente mitigata da quella minacciosa salita che, dritta davanti a noi, sembra aspettarci. Non è una passeggiata qualunque, la salita all’Alfeo, soprattutto se affronti quella salita dopo che hai già percorso una decina di chilometri (e devi anche tornare indietro…).
Ai piedi della montagna, Bertone con la sua chiesa al centro, distinguibile per la facciata bianca e gialla. Accanto a Bertone, in linea d’aria, vediamo Barchi e le frazioni di Rettagliata e Gramizzola.
Non c’è molto tempo da perdere: se vogliamo arrivare fin là sopra e tornare prima di sera, dobbiamo muoverci. Zaino in spalla, ci addentriamo nei boschi di faggio che occupano la cima del Ronconovo, seguendo le indicazioni con il numero 119 che dapprima corrono in piano e in leggera discesa e che poi, dopo una brusca deviazione a destra, scendono ripidamente a rotta di collo su di un piccolo sentiero che, in breve tempo, ci conduce ai piedi del Ronconovo.
Da qui, la vista su Bertone, Barchi e Gramizzola si fa ancora più ampia e privilegiata e arriviamo in pochi minuti alla sella dove si incontra il sentiero proveniente da Belnome e Pizzonero, dove sono poste alcune segnalazioni: un’ora all’Alfeo.
Riprendiamo il nostro sentierino che, appena visibile, scende in direzione di Bertone per alcuni metri, per poi tagliare in leggera discesa il crinale che separa la val Boreca dalla valle del torrente Dorbera (e non Borbera): la cosa che innervosisce, di questa escursione, è il fatto che, da quando si arriva praticamente alla stessa altitudine dell’Alfeo (in cima al Ronconovo), si inizia a scendere, scendere e ancora scendere. E poi bisogna salire, salire e ancora salire. Le gambe ringraziano.
Il sentiero conduce nei pressi di una cappella votiva, poco oltre la quale abbandoniamo la mulattiera che continua a scendere in direzione di Bertone a favore di un minuscolo sentiero che si diparte sulla sinistra e che segna l’inizio della lunga, lunghissima, ascesa alla vetta dell’Alfeo.
Nella prima parte, la traccia di sentiero si mantiene all’interno del bosco, per poi uscire e regalare splendidi panorami sul lungo crinale della montagna e sulla sottostante val Dorbera. La strada sembra non finire mai e quando, finalmente, arriviamo ai piedi della ripida salita finale, ci sembra già trascorsa un’eternità e la stanchezza continua a crescere. Qui le segnalazioni indicano la discesa per Bertone e Gorreto (sentiero 111a), quella a Tàrtago (117) e, in quaranta minuti, la salita in vetta all’Alfeo. Beviamo una golata d’acqua, da ora si inizia a fare sul serio (come se prima avessimo scherzato!).
L’imbocco della salita finale all’Alfeo è la parte più ripida in assoluto. Ora, io non so come si calcolino le pendenze, ma vi posso garantire che, all’inizio, si fatica a stare in piedi da quanto è ripida. Ed è infatti per questo che, poco dopo, si inizia a salire con stretti tornantelli che aiutano a rendere la salita meno distruttiva. Quel che è certo, è che fare la salita dell’Alfeo senza fermarsi a rifiatare qualche volta è molto, molto difficile.
E’ per questo che spesso mi fermo a fotografare (è chiaramente una scusa) lo splendido panorama che, a mano a mano che salgo, si presenta davanti ai miei occhi. Ci sono circa tre-quattro rampe da scalare prima di giungere in vetta, e dopo la prima rampa, la vista inizia a spaziare anche sulla val Boreca, con Bogli, Artana, Vesimo sormontati dal lungo crinale che dal Carmo va al Cavalmurone, ma anche il Chiappo e il Lesima. Inutile perdersi in mille parole, bisognerebbe esserci, qua sopra, perché per quanto dura, la salita all’Alfeo è sempre un’esperienza da provare: sembra sempre di essere arrivati, e invece non si arriva mai. E’ un po’ una metafora della vita.
Quando in lontananza vediamo spuntare, dietro a un albero con lo strano tronco modellato dal vento, la statua della Madonna col bambino in braccio, capiamo finalmente di avercela fatta anche questa volta. Sono le tre del pomeriggio, è stata lunga (ma noi abbiamo il brutto vizio di partire sempre tardi) ma ne è valsa la pena.
Qui sopra la vista è infinita, ovunque ti giri c’è qualcosa da vedere. A partire dalla val Trebbia, un po’ nascosta dalla foschia nelle anse del torrente che precedono Bobbio, ma ben evidente di fronte a noi, dove con Gorreto saluta l’Emilia per diventare Liguria, per arrivare alla val Boreca e alle montagne che, crinale dopo crinale, conducono fino all’Antola, un minuscolo triangolino in lontananza. Dietro alla statua della Madonna, è nascosto in un contenitore il quaderno di vetta. Lo apriamo per scrivere un pensiero, ma ci assalgono le api e desistiamo senza pensarci due volte. Ci limiteremo a scattare qualche foto da questo meraviglioso angolo di mondo.
La sosta sull’Alfeo, con tutta la fatica fatta per arrivarci, non può però essere molto lunga: il Carmo è là in fondo, minuscolo, e fino là dovremo tornarci con le nostre gambe, possibilmente prima che scenda la sera. Ciao Alfeo, ci vediamo tra qualche anno.
La discesa sì che è tutt’altra cosa! Impieghiamo la metà del tempo per scendere i tre-quattro cocuzzoli che precedono la vetta e in men che non si dica siamo già al bivio per Tàrtago e Bertone e, senza praticamente fermarci, alla cappella votiva lungo il sentiero e quindi alla selletta ai piedi del Ronconovo. Da qui, e solo da qui, ci voltiamo per vedere quanto già lontano è l’Alfeo.
La salita al Ronconovo è breve ma devastante, con tutti i chilometri che abbiamo nelle gambe, ma quando finalmente torniamo sul crinale che unisce il Ronconovo al Busasca, dove all’andata ci eravamo fermati a fare una veloce merenda, ci rendiamo conto di essere davvero a buon punto e che, forse, il peggio sia passato. Giù sul sentierino appena accennato fino a Passo Maddalena, dove senza fermarci lasciamo l’asfalto a favore del sentiero ed entriamo nella faggeta dove, finalmente, ci accoglie un po’ di frescura.
Incontriamo due ragazze con uno zaino così grande che ci chiediamo come facciano a portarlo. Un saluto, ma le vediamo rallentare. “Excuse me, for Alpe di Gorreto?”
Già l’inglese non è che lo conosca alla meraviglia, in più stanco come sono ci metto cinque minuti per cercare di elaborare una frase di senso compiuto, senza riuscirci. Loro ridono, ma avranno smesso presto di ridere perché la strada che ho indicato loro, probabilmente, era quella sbagliata (!).
Tagliati sul versante lo Zovallo e il Pecoraia, abbiamo percorso tutto il lungo contrafforte che unisce il Busasca al Carmo e ci ritroviamo ai piedi di quest’ultima montagna quando il pomeriggio sta ormai trasformandosi in sera. Nuvole grigie si stagliano alle spalle del versante roccioso del Carmo, mentre un insolito cielo azzurro sovrasta la Liguria.
Le capre sono là ad aspettarci, esattamente dove le avevamo lasciate stamattina. Scendendo verso le Capanne di Carrega, facciamo in tempo ad incontrare ancora una mandria di mucche al pascolo e qualche persona con lo zaino e i bastoni, poi, finalmente, possiamo fermare queste gambe che oggi vanno quasi avanti da sole, dopo tutta questa strada.
Oltre 18 km, ma veramente tosti. Ecco perché all’Alfeo non si viene proprio tutti gli anni….