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UN NUOVO ANNO NELLA VALLE DEI CAMPASSI

A un anno dall'ultima visita, facciamo il punto sulla situazione di abbandono nella valle dei Campassi

Un anno fa, più o meno - era la fine di gennaio - tornavo nella valle dei Campassi per una veloce visita invernale a Reneuzzi, con partenza da Croso, una delle tre piccole frazioni sulla sponda opposta della vallata. Poi più nulla: attratto dalla possibilità di visitare nuovi paesi fantasma, avevo abbandonato questo angolo di val Borbera, lasciandolo a chi, ancora, lo doveva scoprire.

Inizia poi il 2015 e, durante una camminata ad alta quota col mio amico Umberto esce il discorso di Reneuzzi: "sono ancora in ferie, lunedì se vuoi andiamo!".

Mi piace l'idea di accompagnare nella valle dei Campassi persone che non l'hanno mai visitata, mi piace vedere le loro reazioni quando arrivano in mezzo alle case abbandonate. E poi partiremo da Vegni, in modo che, per la prima volta, avrò l'occasione di percorrere il sentiero 242 in inverno e visitare le altre due borgate abbandonate di Casoni e Ferrazza con meno vegetazione intorno.

E' lunga raggiungere Vegni: da Caldirola ci vuole un'ora, più o meno, ma quando torno in questi luoghi non so perché, ma sono sempre un po' emozionato, sempre agitato...come se fosse la prima volta. Parliamo un po' in macchina, racconto ad Umberto alcune curiosità sui paesi che tra poco visiteremo, poi passiamo il guado sul Carreghino e iniziamo la salita verso Vegni, su di una strada così stretta che anche il mio compagno di viaggio di oggi esclama la frase che tutti diciamo a questo punto: "noi dell'alta val Curone viviamo in città rispetto a quelli di Vegni!!". In effetti....

A Vegni ci sono diverse case con le finestre aperte e qualche macchina parcheggiata in piazza. Ci prepariamo e partiamo, attraversando il paese in direzione della chiesa, camminando inizialmente su di un asfalto coperto da un discreto strato di ghiaccio dove riuscire a non cadere è già un primo importante successo. Imbocchiamo la sterrata che conduce alla Sella dei Campassi, anch'essa in alcuni tratti coperta dal ghiaccio, ma troviamo sempre punti  liberi dove appoggiare gli scarponi.

Camminiamo guardando i terrazzamenti sopra ad Agneto e la cappella di San Fermo, fino ad abbandonare l'ampia sterrata seguendo la staccionata fino alla sella, luogo assolutamente suggestivo, dove la valle dei Campassi, fino ad ora nascosta, si mostra a noi in tutta la sua grandezza.

Scatto due foto e ci incamminiamo, in discesa, sul piccolo sentiero che taglia a mezza costa il versante del Carmetto. Il sentiero è, soprattutto nella sua prima parte, rovinato dalle forti piogge dell'autunno ed è invaso da pietre in diversi punti, soprattutto in corrispondenza dei rii, alcuni dei quali, solitamente asciutti, ospitano un discreto quantitativo d'acqua. Quando iniziano i primi esemplari di castagno, è il segnale che siamo quasi arrivati a Casoni di Vegni, il primo paese fantasma, che peraltro già si poteva scorgere in mezzo agli alberi spogli in lontananza: il profilo della prima casa scatena la curiosità di Umberto, che inizia a curiosare nelle porte aperte delle case, tra antichi attrezzi e vecchie stalle. Ma la grossa novità è che oggi, senza la vegetazione che solitamente nasconde Casoni, facendone un villaggio tetro e inavvicinabile, possiamo salire tra le case andando a scrutare anche quelle che, nelle mie precedenti visite, non avevo potuto avvicinare.

Ecco allora che andiamo ad ispezionare per bene la prima casa che si incontra arrivando da Vegni, quella che sembra anche la più recente: detto della stalla al piano terra, dove si trova anche uno strano attrezzo al quale non sappiamo dare un nome, al piano di mezzo ecco numerose porte e ante in castagno appoggiate alle pareti, una stufa, panche in legno che, coperte di paglia, fungevano da sofà e casse per il grano. All'interno della casa, si intravedono ancora le decorazioni blu e rosse sulle pareti. Usciamo e andiamo ad ispezionare anche il piano superiore, dove scopriamo due antichi macchinari che, un tempo, servivano presumibilmente l'uno a macinare le castagne ed a ricavarne la farina, l'altro a ricavare la semenza di una leguminosa foraggera (la Onobrychis Viciifolia, mi ha detto Umberto): scatto un panorama della valle da una delle finestre dell'ultimo piano, poi usciamo e ci accorgiamo della presenza di una vecchia scarpa sull'uscio e della presenza di due date pitturate sulla porta: 22.12.55 e 16.6.57.

Proseguiamo il nostro tour tra le case, che si trovano esattamente sotto ad una zona che un tempo, presumibilmente, era adibita a terreni coltivati. Entriamo in un'altra casa, dove vediamo un vecchio pozzo  ora riempito di terra ed una volta in mattoni che sembra piuttosto recente, poi saliamo tra le vecchie tracce dei muretti a secco, che delimitano quelle che un tempo erano delle piccole viuzze, raggiungendo un'altra casa senza più il tetto, dove si vedono all'interno le nicchie scavate nei muri ed una ruota - forse una macina - vicino alla porta. Dopo aver ammirato una stanza spoglia, con il soffitto basso, che ospita ancora un camino e una specie di lavandino nella stanza accanto, che si vede a malapena sotto a un cumulo di detriti, raggiungiamo la casa che si trova nei pressi del punto in cui il sentiero prende a salire, che ospita alcune damigiane in una stanza con le finestre spalancate.

Scendiamo sulla viuzza raggiungendo un suggestivo angolo del paese dove un caratteristico arco nasconde un portone: ho sempre dato per scontato che lì sotto mancasse un pezzo di pavimento, invece scopro che mi sbagliavo e riusciamo ad entrare tranquillamente, fino ad arrivare ad una splendida stalla molto simile a quella di Reneuzzi, mai vista prima d'ora. E' ancora perfettamente in piedi, anche se le stanze circostanti sono quasi tutte crollate: altra splendida scoperta che da sola vale la camminata di oggi.

Un'ultima occhiata a qualche casa che già avevo ispezionato, poi lasciamo Casoni, dirigendoci sullo stretto sentierino in salita alla volta di Ferrazza. Lo raggiungiamo dopo una decina di minuti o poco più e lo vediamo spuntare in lontananza tra gli alberi, disteso in un bel pianoro al sole. Quando lo raggiungiamo, andiamo ad appoggiare gli zaini sul tavolino sotto alla cascina e buttiamo giù un sorso d'acqua. Curiosiamo tra le case, ma a Ferrazza non c'è molto da vedere e lo sappiamo: il paese è ancora saltuariamente abitato e addirittura abbiamo visto, sulla porta dell'unica casa ancora abitata, che è stato inserito nel cartello il giorno della festa patronale, l'ultima domenica di agosto! Un veloce giro tra le case, indico a Umberto il forno visibile vicino alla porta di una vecchia casa il cui balcone sta crollando, poi la teleferica, che lui va ad ispezionare da vicino, mentre io mi faccio un autoscatto e mi immetto sul sentiero alla volta di Reneuzzi, il pezzo forte della giornata.

Mentre ci avviciniamo a Reneuzzi, racconto a Umberto del delitto e della storia di Davide e Mariuccia, indicandogli il punto in cui, pare, sia stata assassinata la ragazza, poi prendiamo a scendere sul sentiero e, quando spiana, ecco comparire là in fondo il cimitero con la porta spalancata. Cerco subito con lo sguardo il campanile: c'è, è ancora in piedi! Temevo per la chiesa, ma pare abbia resistito ad un'altro inverno e, tra poco, andrò a vederla da vicino, ma prima, dobbiamo concentrarci sul cimitero.

La porta completamente spalancata mi aveva insospettito ed in effetti, all'interno, qualcosa è cambiato: il cimitero è stato ripulito di fresco dalle erbacce ed è pulito come non l'avevo mai visto. Si leggono tutti i nomi sulle lapidi, cosa impossibile prima, e a parte la famosa tomba di Davide, la mia attenzione viene catturata da un nome impresso su di una lapide poco più a sinistra: Giacomo Bellomo, di anni 67.

Ora, se non sbaglio, Giacomo era il nome del padre di Davide. Davide fu sepolto qui nel 1961, con i genitori ancora in vita, come si legge dall'incisione "papà e mamma dolenti" sulla sua tomba. La morte di Giacomo Bellomo, nato nel 1895, invece, risale al 1962 e si legge ancora "..la moglie e i parenti tutti...". Si è sempre detto che Davide fu l'ultimo ad essere seppellito nel piccolo cimitero di Reneuzzi, il più piccolo d'Italia, ma evidentemente qui qualcosa è sfuggito perché la data sulla tomba di Giacomo non lascia spazio a dubbi: che quindi non sia il padre di Davide (se, effettivamente, è lui) l'ultimo abitante di Reneuzzi ad essere stato seppellito nel piccolo cimitero?

Ciò potrebbe anche significare che Davide non fu l'ultimo abitante del paese oggi abbandonato, ma non ne abbiamo la certezza perché potrebbe benissimo essere stato semplicemente seppellito nel cimitero accanto al figlio pur non vivendo più qui da qualche tempo. Al riguardo, le notizie che ho raccolto sono frammentarie e contrastanti e non posso ancora esprimere un mio parere.

Usciamo dalla porticina avviandoci verso la chiesa. L'oratorio di San Bernardo è ancora lì in piedi e più lo guardo, più mi rendo conto di quale fantastica testimonianza della cultura contadina rappresenti. Ci avviciniamo, guardando le crepe sull'arco, quelle che lo scorso anno mi preoccupavano di più: sembrano essersi ulteriormente allargate, anche se per ora l'arco tiene ancora. Ma la situazione  che preoccupa di più è all'interno, dove tutto sembra essere come l'ultima volta, ma proprio uguale non è: sulla sinistra, il portico che dava verso la canonica si sta sgretolando e una profonda crepa lo taglia in due. Salendo con lo sguardo, è possibile intravedere un buco dal quale si vede l'azzurro del cielo: è probabile che il crollo dell'oratorio avverrà proprio a partire da qui, quando i sassi che compongono l'archetto cederanno e la chiesa si sventrerà sul lato sinistro, portandosi probabilmente dietro anche lo splendido campanile a vela.

Scrutiamo l'interno, consapevoli che qui potrebbe crollare tutto da un momento all'altro. Qualche foto all'altare, alle decorazioni sulle pareti, all'acquasantiera in pietra e alle nicchie scavate nei muri per ospitare le statue dei santi. Il pavimento che rimbomba ad ogni passo, ci fa pensare che sotto ci sia un'altra stanza, probabilmente accessibile, una volta, da qualche porta laterale oggi del tutto nascosta dalla montagna. Usciamo dalla chiesa e mi metto a fotografarla, poi ci dirigiamo verso le altre case e accompagno Umberto in un tour tra le macerie di Reneuzzi, il più grande paese fantasma della val Borbera. Scendiamo per le viuzze più nascoste, fino a scoprire la casa rotonda gemella di quella che si trova al centro del paese, poi poco più distante, dove vedo che la casa con le pitture rosse e blu sulle pareti, lo scorso anno pericolante, ora è crollata per metà. Segni del tempo che passa e dell'abbandono.

Sbuchiamo sul lato opposto del paese, in direzione del sentiero che conduce al rio dei Campassi. 

"Non ho mai visto l'interno di quella casa" dico a Umberto, indicando l'ultima abitazione sulla destra del sentiero "ma ho visto le foto di un ragazzo che ci è entrato ed è andato fino all'ultimo piano". 

"Andiamo!". Umberto più curioso di me, sta già salendo la scala in pietra semicrollata che conduce alla porta, io lo seguo e, quando entriamo ci troviamo di fronte ad un pavimento per metà crollato, con una scala in legno che conduce al solaio, all'ultimo piano. Lui, decisamente più leggero del sottoscritto, sale, mentre io, convinto che la scaletta in legno possa reggere a fatica i miei 90 kg, gli passo la macchina fotografica invitandolo a scattarmi qualche foto dell'ultimo piano, sporgendosi, se possibile, dal balcone senza più le assi per darmi una vista da lassù.

Quando scende, lo ringrazio per il servizio fotografico e usciamo dalla casa inesplorata, dirigendoci ora sulla seminascosta scaletta che conduce sotto a quella che, secondo me, era la casa di Davide. Scendiamo spostando le spine con le racchette, impiegando metà della fatica che l'ultima volta avevo invece dovuto sopportare per raggiungere il portone dalla parte opposta. E' tutto come un anno fa, anche la splendida stalla con la volta ad arco e il pilastro centrale che sembra sempre illuminata da una luce tenue, quasi dorata. Umberto è rapito dalla curiosità e dalla bellezza dei luoghi di una volta. Rimaniamo qui un po' a scattare foto, mentre poco distante, in una pozza che sembra quasi fatta per appoggiarci il fieno, un topo di discrete dimensioni, continua a fare avanti e indietro per procurarsi del cibo. Lancio un sasso nel pozzo vicino alla stalla, ancora pieno d'acqua, senza riuscire a intuirne la profondità, poi sentiamo delle voci e risaliamo la scaletta, trovandoci di fronte ad altri due ragazzi che stanno visitando i ruderi. Un saluto e via, ci rimane da visitare uno dei luoghi più suggestivi della valle: il Rio dei Campassi con le sue cascate e i mulini, sul fondovalle.

Scendiamo sul sentierino che supera le case e, oltre una piccola frana, facciamo giusto in tempo ad accorgerci che, sopra di noi, si vedono le case di Ferrazza (non me ne ero mai accorto!), a testimonianza di quanto siano in realtà vicini Reneuzzi e Ferrazza. Dopo essere passati accanto ad una zona che, un tempo, ospitava probabilmente terreni coltivati, prendiamo a scendere con gli innumerevoli tornanti che ci accompagnano al fondovalle, con il sottofondo del suono dell'acqua del rio.

Le cascate del rio dei Campassi sono una meraviglia. E' un luogo incontaminato tra i più affascinanti delle quattro province: l'acqua scende impetuosa in una miriade di cascatelle, con i mulini ai due lati opposti del rio a conferire al paesaggio quasi la sensazione di essere tornati indietro nel tempo. Costeggiamo il rio, sul sentiero che, come giustamente mi fa notare Umberto, un tempo era verosimilmente il canale che portava l'acqua al Mulino Gelato e, quando lo raggiungiamo, scendiamo sul lato opposto dove, con una piccola deviazione che mai avevo intrapreso prima d'ora, è possibile vedere l'interno del mulino con il meccanismo che alimentava la preziosa turbina Pelton e altre due belle cascate del rio, una sotto al ponte e una poco oltre.

Attraversiamo il ponte e raggiungiamo la sponda opposta del rio, dove, dopo una visita veloce al Mulino dei Gatti, consumiamo una veloce merenda sul tavolino accanto all'acqua. La temperatura, qui in fondo, non è delle più alte e così, siamo costretti a rimetterci in marcia velocemente, riprendendo a salire verso Reneuzzi senza quasi aver finito di mangiare, cosa peraltro non delle più salutari. Infatti la fatica si fa sentire sotto forma di fiatone e mal di testa....

Arriviamo a Reneuzzi quando i ruderi sono baciati da un bel sole pomeridiano, che regala un colore diverso a tutto il paesaggio, riportandolo quasi in vita. Lo attraversiamo velocemente, fino all'oratorio di San Bernardo, del quale scatto una foto che potrebbe essere l'ultima, chissà. Penso che sono stato fortunato a poter vedere ancora una volta queste meraviglie.

Camminiamo verso Vegni con un buon passo, attraversando senza più fermarci le borgate di Ferrazza e Casoni, alle quali scatto solo qualche foto "volante". Arriviamo alla Sella dei Campassi giusto in tempo per gustarci il sole che si nasconde alle spalle di San Fermo, mentre il resto della imponente valle è già al buio e si prepara ad un'altra notte. Lanciamo un'ultimo sguardo verso la valle dei Campassi e prendiamo a scendere alla volta di Vegni, che raggiungiamo dopo pochi minuti.

E' stata una giornata intensa, come ogni visita in questa valle misteriosa. Umberto mi è sembrato soddisfatto e, sicuramente, ha potuto vedere con i propri occhi una preziosa testimonianza del nostro passato prima che venga cancellata per sempre dall'incuria e dall'abbandono. Chissà se nel 2016 potremo ancora ammirare l'oratorio? E' uno dei miei più grandi desideri, senza considerare che, ogni volta che torno, riesco sempre a vedere qualcosa di nuovo che la volta prima mi era sfuggito. 

Una specie di caccia al tesoro...

A un passo dalla vetta
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