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I LUOGHI FANTASMA DELLA VALLE SPINTI

Alla scoperta delle ville nelle Pineta Vallebona e dei ruderi di Cà di Sasso

PAESI FANTASMA: ville abbandonate in località "Pineta Vallebona"; Cà di Sasso 

RAGGIUNGIBILI DA: Varinella; Sasso Inferiore

TEMPO DI PERCORRENZA: circa 45 minuti per le ville; circa 15 minuti per Cà di Sasso

SEGNAVIA: nessuno, sterrata evidente in entrambi i casi

 

Ci sono luoghi dei quali si viene a conoscenza un po' per caso: mi è capitato, lo scorso mese di ottobre, di tenere una serata sui paesi abbandonati a Varinella, località della valle Spinti, dove sono stato invitato dal Circolo ARCI Varinellese per presentare i miei libri assieme al "mitico" Paolo De Lorenzi. Nel corso della bellissima serata (svoltasi, peraltro, nella splendida cornice del ristrutturato ex-asilo), parlando con le persone intervenute, sono venuto a conoscenza dell'esistenza di due luoghi fantasma nelle vicinanze. Neanche a dirlo, siamo tornati a casa e la mattina dopo eravamo già pronti per andarli a visitare.

Raggiungiamo Varinella e parcheggiamo accanto alla chiesa di S.Eusebio, nella stradina che conduce al circolo. Indossiamo scarponi e zaino e ci incamminiamo, cercando di tenere a mente le indicazioni che la sera prima avevo strappato ai varinellesi (grazie, in particolare, a Mauro).

Percorriamo la via principale di Varinella in direzione sud-est, fino all'intersezione con la provinciale della valle Spinti, che attraversiamo per proseguire su una stradina asfaltata, indicata come "strada della pineta", che avanza pianeggiante nei primi metri, prima di prendere a salire dolcemente e, oltrepassate alcune abitazioni, raggiungere una sbarra che impedisce il transito.

Aggiriamo la sbarra, proseguendo sulla stradina che ora si fa sterrata e regala alcune piacevoli viste in direzione del Santuario di Monte Spineto: dopo un tornante, la vista si apre in direzione della Valle Spinti e arriva fino a Variana, regalando un insolito scorcio sulla vallata, mentre sui tronchi degli alberi ogni tanto compare qualche segnalazioni bianco-rossa.

Continuiamo a salire, consapevoli che non ci aspetta molta strada: decidiamo così di deviare sulla destra, preferendo alla evidente sterrata un sentierino appena intuibile, che si stacca dal sentiero principale conducendo, dopo un breve tratto di salita, al Santuario della Ronchetta, costruito in posizione isolata tra i boschi e di cui mi avevano parlato nel corso della serata precedente. Ci fermiamo nei dintorni del Santuario una decina di minuti, scattando qualche foto della bella struttura dal prato che la circonda: la facciata bianca del Santuario mariano risalta ora in contrasto al blu intenso del cielo, mentre alle sue spalle svetta un tozzo campanile di mattoncini. Aggiriamo il Santuario scattando alcune immagini del portico sul retro, quindi proseguiamo sulla traccia di sentiero che, costeggiando la recinzione di una casa isolata, all'interno della quale alcune caprette ci scrutano attentamente dal prato, conduce nuovamente all'intersezione con l'ampia sterrata che poco prima avevamo abbandonato per raggiungere la Ronchetta.

Proseguiamo alcune centinaia di metri, e ci si para davanti un bivio: le segnalazioni bianco-rosse che avevamo intravisto sui tronchi durante la nostra salita (e che appartengono al sentiero 200, nda) , si dirigono ora verso sinistra, mentre noi le ignoriamo proseguendo sulla traccia non segnalata di destra. In dolce salita, la sterrata regala le prime visuali in direzione di Arquata Scrivia, quindi supera un rio nei pressi del quale sono stati da poco fatti dei lavori di sistemazione, raggiungendo una selletta naturale all'interno del bosco, nella zona nota come "Pineta Vallebona".

Ci guardiamo attorno ed eccoli, i ruderi di cui Mauro mi parlava la sera precedente: una specie di piccolo nucleo abbandonato all'interno del bosco, composto da abitazioni totalmente diverse da quelle che siamo abituati a rinvenire nei paesi fantasma dell'appennino: queste sono ville fatte costruire, da quanto mi è stato riferito, da facoltosi signori provenienti dalla città e progettate dallo Studio Gardella, in particolare nella figura di Arnaldo, padre di Ignazio. Le ville (Villino Caruso, con annessa chiesetta costruita, pare, a seguito di un ex-voto e Villino - o Rifugio - Ferraro) pare risalgano agli anni venti del secolo scorso e che non siano state praticamente mai utilizzate. 

Non ci resta che curiosare e così, gironzolando tra i ruderi sul rilievo dove si incontrano i territori di Varinella e Vocemola, non possiamo fare altro che soffermarci su tanti particolari che non è frequente osservare visitando i paesi abbandonati delle nostre zone, espressione di una certa ricercatezza dal punto di vista architettonico e costruttivo. Il mio pensiero corre subito a quanto devono essere state belle, queste ville, appena costruite, in un contesto non di degrado e abbandono come quello attuale. Quasi annichiliti dall'imponenza delle due costruzioni, ci stupiamo trovandoci di fronte la chiesetta Caruso, così piccola e particolare, con quel che resta della sua facciata bianca, sormontata da un minuscolo campanile laterale, che risalta in mezzo ai colori del bosco, illuminta da un po' di sole che filtra tra gli alberi. All'interno, nonostante la costruzione sia gravemente danneggiata, si può ancora ammirare la ricercatezza di alcuni particolari. Completiamo il nostro tour tra le ville abbandonate, scorgendo una caratteristica fontana e altri pregevoli particolari delle costruzioni, oltre a un'altra anonima costruzione, più distanziata dalle altre, alla quale ci avviciniamo senza, tuttavia, notare alcunché di interessante.

Abbandoniamo la località Pineta Vallebona per ridiscendere verso Varinella, un po' stupiti per quello che abbiamo visto, sicuramente non una scena usuale quella di incontrare due costruzioni così particolari lasciate del tutto a sé stesse da chissà quanti decenni. Sullo stesso sentiero, raggiungiamo l'auto e facciamo in tempo ad incontrare, quasi un segno del destino, il prof. Tavella, figura "storica" di Varinella che alle costruzioni del Gardella nella Pineta Vallebona ha dedicato alcuni dei suoi lavori.

Saliamo in auto e ci dirigiamo sulla provinciale verso Grondona, dove - dopo un veloce panino davanti alla Chiesa dell'Assunta - risaliremo la valle verso Lemmi alla ricerca di un altro paese abbandonato di cui mi hanno parlato la sera precedente: si è infatti presentata una signora dicendomi di essere "originaria di Cà di Sasso".

"Cà di Lemmi, intende?" le ho detto, convinto che si stesse confondendo.

"No, no, Cà di Sasso. Era un piccolo paese vicino a Sasso Inferiore, ma oggi non è rimasto più niente. Io sono nata lì..."

Mi si sono drizzate le antenne, ho raccolto due informazioni al volo ed eccomi qui, diretto verso Sasso Inferiore dove lasceremo l'auto per andare alla ricerca di questi pochi ruderi.

Parcheggiamo l'auto nella piazzetta di Sasso Inferiore, dirigendoci verso sinistra su una stretta via asfaltata che sale tra le case, dove indisturbati stanno brucando l'erba alcuni caprioli che, alla nostra vista, fuggono permettendomi appena di immortalarli in uno scatto mosso. Quando la strada prende a salire alla volta di una abitazione, le si preferisce la sterrata che si stacca sulla sinistra e che, oltrepassato un rio, prende a salire ai margini di una zona di ampi pascoli estremamente panoramica sulla valle Spinti. Non sappiamo se questa sia la strada giusta, ma una sterrata così battuta da qualche parte deve pur portare...probabilmente a quello che una volta era un piccolo nucleo abitato (anche se, a dirla tutta, mi sarei aspettato un sentierino infestato dai rovi e dalle spine).

Non impieghiamo molto, perché dopo un tratto di salita un po' più decisa raggiungiamo il rudere di un cascinale posto in corrispondenza di una sella, da cui la vista è ampia in direzione di Sasso, con la bella chiesa che spunta sullo sfondo. Il sentiero prosegue in discesa oltre la sella e ci basta avanzare di poche decine di metri per incontrare i ruderi di Cà di Sasso, situati nei pressi di un bivio: poco distante da noi - almeno così sembra - un rumoroso gruppo di cinghiali sembra volerci avvertire della loro presenza.

Si tratta di poche costruzioni, 4-5 in tutto, ormai completamente avvolte dai rovi e in parte - se non del tutto - crollate, delle quali, però, assolutamente ignoravo l'esistenza. Quella meglio ridotta conserva ancora un piccolo balcone in ferro battuto, una finestrella verde e una stanza ancora in piedi, mentre le altre sono così mal ridotte da essere anche difficilmente avvicinabili.

I muri sono costruiti con grosse pietre squadrate e travi di legno sovrastano gli usci, ma sui tetti in luogo delle ciappe ci sono già le tegole marsigliesi. 

Proseguiamo per un tratto sul sentiero che scende tra le case, per vedere se ci sono altre costruzioni più isolate, ma non ne troviamo altre, dovendo così concludere che Cà di Sasso è tutto qui. Peccato non avere notizie sul suo abbandono, ma facendo due conti lo si può far risalire all'epoca in cui è stata abbandonata la maggioranza dei villaggi dell'appennino: la signora che mi ha detto di essere nata qui, infatti, sarà all'incirca degli anni tra il '45 e il '55, probabilmente gli ultimi di "vita" di Cà di Sasso. 

Torniamo a Sasso, la camminata è stata davvero brevissima e siccome non siamo ancora stanchi, raggiungiamo la chiesa di S.Andrea per scattare qualche bella foto della sua particolare facciata, prima di fare ritorno a casa.

Che dire, il weekend in valle Spinti è stato particolarmente produttivo: arrivato senza grosse aspettative per presentare i miei "paesi fantasma", oltre a una bella e partecipata serata, ho finito per scoprirne addirittura due nuovi!

A un passo dalla vetta
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